L'ISOLA DI ARTURO - PARTE CENTRALE E FINALE
Il rovello che il protagonista si trova a dover fronteggiare, nella parte centrale e finale del romanzo, riguarda il complicato rapporto con la matrigna e il progressivo risveglio della sessualità che a esso si associa. Ripercorriamo le tappe di questo percorso iniziatico.
Sbarcata a Procida, Nunziatella cerca da subito di conquistarsi la simpatia del figliastro, che chiama piccerillo, sottolineando una differenza generazionale, nella realtà di appena due anni, tra lei e Arturo. Ciò scatena l'ira del ragazzo, che vorrebbe essere trattato come un adulto.
Rimasti soli, i due hanno una lunga conversazione, il più lungo scambio dialogico di tutto il romanzo, in cui la giovane sposa, con la sua schiettezza, riesce a rompere il muro di solitudine dietro a cui si nasconde Arturo, correggendone i pregiudizi e le prime impressioni. Per la prima volta, il ragazzino crede di aver trovato un’amica, una sorella, e le confida i suoi segreti.
L'idillio si infrange nel momento in cui il giovane eroe, coricatosi nel proprio letto, sente attraverso le pareti «un grido di lei: tenero, stranamente feroce, e puerile» che sancisce la scoperta della sessualità femminile. Questa rivelazione è preceduta da un penoso senso d'esclusione che lo aveva turbato già nel corso della serata.
La mattina dopo Arturo osserva di nascosto la matrigna intenta a fare la pasta in cucina e non può che constatarne la definitiva diversità:
«Come aveva potuto avvenire, in un intervallo così breve, una trasformazione tanto strana! Essa aveva la stessa maglia rossa del giorno prima, la stessa gonna, le stesse ciabatte; ma era diventata irriconoscibile per me. […] A rivederla, adesso, mi vergognavo d'aver potuto, il giorno prima, trattarla con tanta confidenza, e abbandonarmi fino al punto di dirle i miei segreti! […] Le parlavo solo se vi ero proprio costretto, e in queste rare occasioni i miei modi erano così freddi e scostanti da farle ben capire che lei era meno di un'estranea, per me.»
Il riavvicinamento tra i due avviene a metà romanzo quando Arturo teme che Nunziata possa morire di parto, proprio come era accaduto a sua madre:
«Pareva quasi che sulla terra esistessimo soltanto io e Nunz. E del mio famoso odio per lei, che era stato la mia croce, non me ne restava più nemmeno una traccia».
Presto però viene colpito da una nuova forma di gelosia per le attenzioni che Nunziata dedica al figlio appena nato: «Adesso, più che mai capivo che soddisfazione sia, per un uomo, avere la madre. […] La mia invidia più intollerabile, poi, non l'ho ancora detta. Era questa: che ella gli dava dei baci. Troppi baci».
Scatta quindi nel protagonista il desiderio di commuovere il personaggio femminile attraverso un gesto eclatante. Il simulato suicidio rappresenta il rito di passaggio supremo, tipico di ogni favola, che consiste nel superare la morte apparente per rinascere migliore e conquistare il cuore della donna amata.
Sopravvissuto a una dose massiccia di sonniferi, Arturo ritorna alla vita fortemente mutato: la voce possiede «certe note ruvide e basse che non c'erano prima» e la sua altezza è superiore a quella di Nunziata.
Una volta scoperto che Nunziata ha pazientemente vegliato su di lui giorno e notte, Arturo osa baciarla; la matrigna, pur dimostrando di corrispondere il sentimento, scappa inorridita come si trovasse dinnanzi ad un nemico.
«Nel momento stesso che la sua volontà disperata ripudiava il mio bacio, il suo corpo (che all'improvviso mi si faceva riconoscere come se l'avessi visto ignudo), mi implorava, all'improvviso, di ribaciarla ancora!». «Così, con quel bacio, io avevo nuovamente disfatta la nostra amicizia; e stavolta senza rimedio!».
Arturo cerca quindi di sostituire al desiderio incestuoso quello lecito per Assuntina, una vedova procidana piuttosto disinibita. Ciò avviene in modo quasi inconsapevole da parte del ragazzo, che nel fare l'amore con lei è costretto a mordersi un labbro per non pronunciare ad alta voce il nome di Nunziata, alla quale stava pensando.
«Credetti… di intendere soltanto adesso che cosa io volessi dalla mia matrigna: non l'amicizia, non la maternità, ma l'amore. [...] In conseguenza, giunsi a questa grande scoperta: che dunque, senza dubbio io ero innamorato di N.»
Nunziata, più volte sollecitata dalle confessioni di Arturo e tentata dai progetti d'amore che costui le prospetta, è costretta a sottrarsi in nome di una razionalità che le permette di riconoscere l'impraticabilità di un simile rapporto: «No! Artù! Non bisogna fare il male».
Ella, tuttavia, regala all'amato un orecchino d'oro che, nell'urto del loro ultimo incontro, le era cascato a terra. Arturo riconosce in quel dono diversi significati:
«D'addio, di confidenza; e di civetteria amara e meravigliosa. […] Mandarmi in ricordo non il segno d'una mia carezza, o d'un bacio; ma di un maltrattamento infame. Come a dirmi: anche i tuoi maltrattamenti, sono cose d'amore, per me».
- Altro nodo drammatico riguarda il distacco definitivo dal padre.
Ciò ha luogo con l'apparire di un giovane galeotto al quale Wilhelm rivolge uno sguardo d'implorazione che, afferma Arturo, «non si cancellerà mai dal mio cuore».
Dinnanzi a quella scena il ragazzo ebbe «in dono una sensibilità vicina alla veggenza, quale si trova, a volte, nelle donne, o negli animali» e fin dall'inizio votò un «odio definitivo per quell'uomo».
Nelle giornate successive Arturo scopre che lo struggimento paterno, finora senza spiegazione, deriva dall'indifferenza del carcerato. Seguendolo di nascosto, Arturo vede il padre appostarsi sotto la casa circondariale per cercare di stabilire un contatto con il bieco individuo attraverso un alfabeto segreto: «Ne visite ne lettere niente. Almeno una parola che ti costa».
A questa domanda segue una risposta sprezzante: «Vattene Parodia!».
L'inseguimento del padre e la tragica rivelazione di una simile verità rappresentano una prova iniziatica fondamentale: il ragazzo corre a casa per cercare sul vocabolario il significato di quel nomignolo e, una volta scopertolo, si sente invaso dal maturo sentimento della compassione che egli comprendeva essere la forma più assoluta d'amore:
«Per tutta la mia infanzia e fanciullezza, io avevo creduto d'amare W. G.; e forse m'ingannavo. Soltanto adesso, forse, incominciavo ad amarlo. Mi accadeva qualcosa di sorprendente, che certo in passato non avrei potuto credere se me l'avessero predetto: W. G. mi faceva compassione».
Grazie all'indulto in vista della guerra, il carcerato Tonino Stella viene rilasciato e Wilhelm lo nasconde in una stanza sotterranea della “Casa dei guaglioni” per celare la sua presenza a Nunziata e Arturo; quest'ultimo però nota una luce insolitamente accesa e si trova faccia a faccia con Tonino: il confronto è brutale e le bassezze di Wilhelm emergono in un triplice tradimento: egli aveva giurato a Romeo l'Amalfitano che mai si sarebbe accompagnato con nessun altro sull'isola; aveva regalato a Tonino l'orologio Amicus per ingraziarselo e promesso, sempre a costui, la maschera, il binocolo e il fucile.
E infine, da parte di W.G., c’è il tradimento peggiore nei confronti del figlio:
- Io tengo sedici anni! – esclamai – tu hai promesso che, quando mi facevo uomo, avresti viaggiato assieme a me. E adesso, è venuta quell'epoca! Io tengo l'età, sono uomo! […]
– Ti prego di rimandare l'argomento ad altra occasione, e di ritirarti di sopra, se non ti spiace. Siamo d'accordo, quanto alla promessa che dici: s'intende, ogni promessa è sacra, tra gentiluomini... ma non mi sembra questa l'ora migliore per discorrerne: di mezzanotte mentre sto per partire.
A questo si aggiungano altre tristi verità rivelate da Stella sui misteriosi viaggi di Wilhelm:
«- Ah, sul serio! - osservò, - l'idea mi è nuova... E quali sarebbero, se è dato saperlo, i viaggi principali che lui ha fatto? Va bene. Germania-Italia, una quarantina d'anni fa: ci è noto. E poi?... Beh, si sa, la circumvesuviana: quella, per lui, è abbonamento...».
Arturo non esprime nessun giudizio morale sull'omosessualità paterna e, nonostante le rivelazioni di Stella, è ancora abbagliato dallo splendore del genitore:
«Notai, nel tempo stesso, con una sorpresa amareggiata, che s'era messo degli abiti nuovi, da me non mai veduti prima d'oggi. [...] Così pulito, elegante mi appariva bello come un principe romanzesco».
Prima di partire Wilhelm cerca un ultimo abbraccio da parte del figlio, che gli verrà negato. «Mentre lui spariva dalla camera, pensai: A rivederci... e invece, non ci rivedremo mai più».
Arturo, tradito dal padre e respinto dalla matrigna, non può che abbandonare definitivamente la propria isola, metafora di un'età conclusasi per sempre: «Il piroscafo era già là, in attesa. E al guardarlo, io sentii tutta la stranezza della mia tramontata infanzia».
Una nuova consapevolezza, una vera e propria legge, accompagnerà la traversata verso l'età adulta: alla gioia dell'incoscienza infantile segue il disincanto dell'età adulta e la decisione di arruolarsi nell'esercito. Come in un cerchio magico, il verso finale di quella Dedica a Remo N. che Elsa Morante ha collocato all’inizio del romanzo, funge da morale della storia:
Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra,
fu tutto.
E non sarà mai rubato quest'unico tesoro
ai tuoi gelosi occhi dormienti. […]
Giovinetti amici, più belli d'Alessandro e d'Eurialo,
per sempre belli, difendono il sonno del mio ragazzo.
L'insegna paurosa non varcherà mai la soglia
di quella isoletta celeste.
E tu non saprai la legge
ch'io, come tanti, imparo,
- e a me ha spezzato il cuore:
fuori del limbo non v'è eliso.
PREGI LETTERARI DEL ROMANZO
- Scelta di nuclei tematici importanti, legati alle relazioni familiari, alla crisi adolescenziale di Arturo, e supportati dalla psicanalisi
- Particolari caratteristiche dei personaggi principali (Arturo, Nunziata e Wilhelm)
- Senso di libertà che accompagna la figura del ragazzo, a contatto con la natura
- Caratteristiche mitiche e simboliche dei luoghi: l’isola, la casa dei guaglioni, il penitenziario, la barca, la grotta…
- Alternanza di forme narrative e atmosfere diverse: dialoghi, descrizioni, parti drammatiche e comiche, momenti di pura poesia…
- Nelle scene madri, la capacità di prolungare il tempo, spezzettando l’azione negli elementi che la compongono e nelle molte emozioni ad essi correlate. (Vedere M. Tallone, La scena e la geometria euclidea)