NONOSTANTE BERGER E PENNAC SOSTENGANO…
Come dev’essere stato bello trovarsi nella classe di Pennac, estroso insegnante di lettere che ha svolto questa professione per ben ventotto anni. Allievi fortunati per colui che ha incarnato nella giovinezza la figura dello studente pessimo, fino alla resurrezione scolastica, avvenuta per merito di un insegnante che, comprendendo la sua dislessia, lo ha incoraggiato e capito.
Proprio perché è stato fra gli ultimi, ha saputo comprendere i disagi e i problemi di coloro che, ai colloqui insegnanti-genitori, fanno scuotere tristemente il capo ai primi provocando disappunto e dispiacere nei secondi.
Nessuno comprende meglio la malattia di un malato che ne ha sofferto ed è riuscito a guarire: educatore generoso, fu sempre attento ai bisogni dei ragazzi e pronto a suscitare curiosità e interesse per la lettura e il sapere.
La sua definizione di passeur mi commuove: la parola stessa “far passare, trasmettere emozioni” m’incanta e mi induce a cercare nel passato la o le persone che abbiano avuto per me queste caratteristiche.
Difficile compito il mio: la scuola elementare era quella tipica degli anni del dopoguerra, con una maestra dolce ma ferrea con gli indisciplinati, a cui non erano risparmiati sonori schiaffoni. Ricordo che ai “buoni” le medaglie venivano appuntate su tristi grembiulini neri e l’inchiostro era versato nei calamai del banco: sceneggiatura da libro cuore. Troppo presto per riconoscere dei passeurs.
Non è stata più entusiasmante l’avventura delle medie, a indirizzo commerciale: una scuola privata, dove le suore dispotiche erano attente più che altro a cogliere i cambiamenti e le pulsioni adolescenziali per reprimerle sul nascere. Nessun passeur a insegnare dattilografia e stenografia, partita doppia e come redigere un bilancio.
L’amore della lettura è nato da solo, spuntato come un fiore a primavera, ma a differenza di questo, che si secca al sopraggiungere dell’estate, ha mantenuto inalterato il suo splendore attraverso il tempo. Mi ha tenuto compagnia nell’infanzia di bambina dalla salute cagionevole, mi ha accompagnato durante tutta la vita e ne sono diventata felicemente dipendente.
Nessun passeur, nemmeno nella biblioteca che abitualmente e avidamente frequentavo, dove un bibliotecario dalle sembianze di gufo, appollaiato dietro una lugubre scrivania, mi osservava e mi redarguiva se con il cassetto metallico facevo rumore o se aprivo troppi cassetti per cercare le posizioni dei libri. Ragion per cui lessi tutto Pratolini, Cassola, Buzzati, per non disturbarlo aprendo altri cassetti.
Ho assistito con gioia e mi sono emozionata quando mia figlia in terza liceo ha incontrato la sua passeur. Ero presente al discorso di questa insegnante che presentava il suo programma e mi piacque a pelle, perché sembrava investita di un carisma che non venne mai meno. Seppe coinvolgere talmente gli studenti dello scientifico nell’amore per la letteratura, da far mettere loro in dubbio la scelta degli studi. Vedevo mia figlia dedicarvisi con impegno e soddisfazione.
Era una gioia vederla ritornare a casa con gli occhi brillanti di entusiasmo, mentre mi raccontava di come l’insegnante riuscisse a spaziare dalla sua materia al periodo storico, coinvolgendo l’arte e le influenze scientifiche. Essa mostrava loro come aprirsi al sapere, senza confini, in modo interdisciplinare.
La preparazione e l’abilità di comunicazione di questa insegnante, in confronto a quelle di altri professori, erano tanto superiori da creare sconcerto. Terminato il liceo, molti dei suoi alunni si ritrovarono all’università, con insegnanti indifferenti e privi di passione; la delusione per mia figlia fu grande.
A questo punto mi rendo conto di essere personalmente a corto di passeur, o almeno non di quelli con i requisiti richiesti.
Nonostante Berger e Pennac sostengano che il passeur non può essere un genitore, mi sento di dissentire dal loro pensiero.
Il rapporto con un passeur deve essere paritario e complice. Certo, se nella figura del genitore vediamo un’autorità, se le posizioni sono ben delimitate, è difficile che il genitore possa assumere questo ruolo.
Ma questo non è accaduto con mio padre. Egli sapeva raccontare con passione, facendomi sentire parte della vicenda quando narrava episodi della sua infanzia. Scoprivo così le vicissitudini di una famiglia numerosa, povera, ma ricca di valori morali. Numerose erano le sue responsabilità di fratello maggiore, a volte disattese per la foga del gioco e delle avventure con gli amici.
Mi raccontava della guerra, della lunga prigionia, della fame che l’aveva attanagliato per lunghi anni, a volte mettendola a confronto con la mia inappetenza. Ma era la vita di tutti i giorni nel campo di lavoro, erano i piccoli espedienti per eludere un sorvegliante e racimolare un tozzo di pane, la solidarietà con i compagni, a rendere speciali i suoi racconti. Complice della mia curiosità, cedeva volentieri a raccontare per l’ennesima volta il mio pezzo preferito: l’arrivo degli americani e la sua liberazione.
Dalla sua infanzia emergeva la passione per gli animali, compagni di gioco, strumenti di lavoro, ma, lontani dagli allevamenti intensivi di oggi, anche parte della vita e della comunità rurale delle cascine padane.
Amava i cavalli, la loro intelligenza, e vedeva nei loro occhi una complicità che induceva a un rapporto alla pari tra uomo e animale.
Da pensionato, per puro piacere, andò per un periodo ad accudire i cavalli della cavallerizza Caprilli. Ritornava a casa, con disappunto di mia madre, con un forte afrore equino, di finimenti e paglia, ma nel cuore la gioia di aver strigliato criniere, accarezzato groppe, ritrovato occhi amici.
Amava coltivare la terra e il nostro giardino era il più bello del circondario, non solo per la varietà di ortaggi e frutta, ma anche per la presenza di fiori, scelti con cura per ingentilire il paesaggio col variare delle stagioni.
Mio padre aveva il dono della positività e della pazienza. Era un capitano che conduceva la sua nave attraverso le tempeste con la certezza di poterle superare, non limitandosi a rimanere al timone ma scendendo tra i marinai, tra i mozzi, lavorando e sudando per approdare in un porto sicuro.
Con il suo esempio, non con un insegnamento da genitore, mi ha fornito gli attrezzi che ancora oggi mi servono per veleggiare e affrontare i marosi.
Lui è stato il mio passeur e difficile è stato l’accettare che la vita è fatta anche di addii.
Siccome non sto seguendo le regole, concludo infrangendole ancora.
Il passeur, dice Pennac, è in genere un personaggio che aiuta in un’età di formazione, fa nascere una passione, apre orizzonti a giovani menti.
Alla luce di questo sostengo che Lucia è il nostro attuale passeur. Quando arriva con un sorriso allegro nella nostra sparuta classe di sopravvissuti a Pinerolo, munita della sua immancabile valigetta rossa, per noi ragazzi dai capelli grigi si aprono nuovi orizzonti.
In quella valigetta è contenuto il computer dentro il quale i nostri racconti attendono di prendere vita con la lettura. Sono il frutto di lezioni, di conoscenze trasmesse con entusiasmo, di storie del passato e testimonianze del presente, sono semi gettati in un terreno fertile, che germogliano e danno frutto.
La stagione non è la primavera, ma un luminoso autunno, che ci fa ritornare ragazzi e ci permette, liberi dal lavoro, di godere di nuove opportunità, pronti a provare ancora emozioni.