IL MIO CAMMINO - II PARTE

  1. BURGOS

 Da Cardenuela a Riopico, comincia una lunga discesa verso la piana che porta a Burgos. Il cammino, da questo punto elevato, annuncia il cambiamento di panorama: prima la grande città, poi la "Meseta", territorio desertico per oltre centocinquanta km, dove c'è poco o nulla.
Mi accorgo che, forse per la fretta, ho lasciato da qualche parte il mio "bordone", simbolo del pellegrino; ormai non torno indietro, strada facendo ne troverò un altro. La tappa odierna sarà breve, incontro spesso gruppi di tre/quattro pellegrini, soprattutto tedeschi e spagnoli. Il solito saluto "Buen camino", ma in questi giorni, un po' per scelta, un po’ per circostanze casuali, mi ritrovo solo e non mi dispiace. Questo conferma che i timori di alcuni miei conoscenti (parti solo?) erano infondati: non sono l'unico a camminare da solo, soprattutto ho incontrato molte ragazze sole, provenienti da ogni parte del mondo. Alcuni "osti" mi hanno spiegato che, a causa del Covid 19, sul cammino ci sono limitazioni di capienza, sia nelle strutture private o ecclesiastiche che negli albergue municipali gestiti da associazioni di volontari, ma spesso nei piccoli centri abitati si trova posto in palestre comunali; eppure, la ruta, quest'anno, sente l'assenza di coreani e asiatici in genere. Sono presenti, oltre agli europei, molti sudamericani.
L'ingresso a Burgos, città di notevole importanza storica, capitale del regno di Castiglia, avviene in tarda mattinata. Per prima cosa mi fermo a fotografare il monumento del grande condottiero "El Cid  Campeador", (Rodrigo de Vivar).  Poi, prima dell'ingresso nel barrio antiguo, mi fermo a fotografare una scultura bronzea che raffigura una donna che cuoce caldarroste. In questa grande città molte sono le sculture bronzee che riproducono aspetti della vita quotidiana: personaggi in varie posizioni, un giovane appoggiato al pilastro di un porticato, mentre legge il giornale, ecc.
Alle spalle della Cattedrale, trovo l'albergue del pellegrino, municipale, costo dieci euro, molto ben fornito di ogni servizio. Negli anni prima del Covid, gli albergue spesso fornivano l'uso della cucina comunitaria. Adesso invece non è più possibile, solo in certi casi si trovano dei microonde che permettono di scaldare pasti già pronti. Pensando ai racconti del mio amico Mauro, che ha fatto il cammino nel 2019, sono molto deluso, non potendomi cimentare in qualche cena con gruppi di pellegrini. Spesso si è costretti al menù del dia, al ristorante.
Pomeriggio in piena libertà: ne approfitto per visitare la Cattedrale di Burgos, una delle più maestose del cammino.  Il costo della visita è di euro quattro e cinquanta, mostrando la credenziale del pellegrino, mentre i turisti pagano sette euro. La città fu fondata nel 884 da Diego Rodriguez Porceles; si ingrandì rapidamente, grazie all'afflusso di artigiani e carpentieri, attratti dal passaggio di pellegrini. Burgos divenne il maggior centro di accoglienza, arrivando ad avere oltre trenta Hospitales, gli attuali "albergue". In breve, Burgos divenne la città più importante di Spagna, fino al 1561, quando il potere politico fu trasferito a Madrid.
Nel barrio antiguo si trovano molti bar, ristoranti, osterie, piene di gente che arriva da ogni parte del mondo: il cammino è una babele di popoli e lingue… ho imparato un po’ di inglese portoghese, qualcosa di tedesco, ma soprattutto ho affinato la conoscenza dello spagnolo. Qui non è difficile incontrare persone che ti salutano in francese o usano l'inglese parlato nei paesi nordici, Olanda, Svezia, Norvegia, o addirittura nei paesi Baltici. Cenando in un locale molto affollato, incontro nuovamente Nicolas: cerveza tra le mani, mi saluta dicendomi che all'indomani prenderà un aereo per Londra, dove ora si trasferirà per un buon posto di lavoro: anche l'ultimo amico incontrato dopo Pamplona mi lascia. Resto con la convinzione che quel giorno, sull'alto del Perdon, quei quattro Spagnoli siano stati i miei angeli custodi.

  1. KILOMETRI DI DOLORE

Che cosa siano le mesetas, aridi altopiani che occupano gran parte del territorio spagnolo, comincio a capirlo oggi: si cammina in piano, ma sempre oltre gli ottocento metri d'altezza. Siamo all'11 settembre, ci sono ventisette gradi, si brucia dal calore. Non ci sono ripari per molti km, di alberi neppure una traccia, quindi sono d'obbligo cappello e occhiali da sole, e anche creme protettive. Di notte, l'escursione termica, anche di venticinque gradi, obbliga a usare sacchi a pelo di un certo spessore.
Per uscire da Burgos, come spesso accade nelle grandi città, si costeggiano strade trafficate, e anche tratti dell'autostrada. Lungo la statale 120, fino a Tardajos, s’incontra qualche negozio, poi nulla fino a  Rabè de la Calzada. La strada sembra una lunga riga diretta verso l'orizzonte, mentre incomincia il paesaggio tipico delle mesetas, grandi distese coltivate a cereali per molti km. Qui d'estate il sole è implacabile!
A Rabè, nella piazza, trovo una fontana dove dissetarmi, prima di affrontare la prima piccola salita sulla meseta. Non c'è granché, in compenso molte frecce gialle mi indicano la strada. Attraverso i soliti imponenti ponti di epoca romana, e arrivo ad Hornillos del cammino, un tipico pueblo della zona, che fu da sempre tappa importante per i pellegrini, con diversi Hospitales, e la chiesa gotica intitolata a San Roman risalente al sedicesimo secolo.
Arrivo in solitaria fino ad Arroyo San Bol, trovo una piccola fonte vicina a un piccolo rifugio di chiara ispirazione templare, mi disseto e riempio le borracce con l'acqua fresca. Mi incammino, ma ecco il mio primo momento di sconforto: riavviandomi, non mi accorgo di un piccolo salto in un terrapieno, la caviglia sinistra si piega in maniera anomala. Presto mi rendo conto di aver subito una distorsione, il piede mi fa male: torno indietro alla fonte e mi tolgo scarpe e calzino, infilando il piede sotto l'acqua.  Non c'è nessuno intorno a me, e dopo poco cerco di riavviarmi. Hontanas, la meta della tappa, dista più di quattro km: avessi avuto il mio bastone, forse non mi sarebbe capitato questo incidente!
Dopo circa due ore, arrivo stremato ad Hontanas, all'albergo municipal non trovo posto, e mi dirigo un po' più avanti; trovo posto all'albergue privato Santa Brigida, costo sette euro, e con altri cinque mi danno una zuppa per cena. Chiedo assistenza e vengo indirizzato all'unica farmacia del pueblo, mi dicono che non ho nulla di rotto, ma per tre giorni non posso camminare: ghiaccio secco e un bendaggio morbido dovrebbero bastare.
Cosa faccio adesso? Gli albergue consentono si sostare solo per una notte, è una regola del cammino; domani si vedrà, ricordo di aver pianto prima di addormentarmi, non per l'incidente, ma lo sconforto mi ha fatto riaffiorare vecchi dubbi. Parlo con mia moglie per telefono, lei mi chiede se è il caso di  tornare a casa… "No! Neanche morto!" Io continuo, domani deciderò cosa fare.
La notte porta consiglio, la mattina seguente mi informo se ci sono dei bus, vorrei arrivare nella prossima grande città, Leon, mi viene indicata una società di servizio bus, che opera sul cammino, benissimo, era destino che avrei saltato "le mesetas", questo territorio a me così ostico. Le mesetas, per i pellegrini, sono motivo di odio e amore: c'è chi le ama, e chi le detesta…
Parto alla volta di Leon, salterò circa 147 km; non sono il solo pellegrino sul bus che ha deciso di farsi trasportare oltre. Sul cammino ho incontrato spesso persone che hanno avuto questi problemi, distorsioni, tendiniti, vesciche, dolori articolari, ce ne per tutti i gusti!
Se non altro, non mi perderò molto: trascorrerò almeno due giorni visitando tutto il possibile.

  1. LEON

Questa mattina, sandali nei piedi per non sforzare la caviglia, ho trovato una sistemazione in un ostello privato, un po' fuori dal centro antico di Leon. Mi si presenta come un'altra città caotica, auto dappertutto e traffico quasi pazzesco: è proprio vero che, dopo due settimane di cammino, ti innamori del silenzio, e della natura che ti fa compagnia. Mi dirigo verso il centro storico, con me c’è Federico, un ragazzo torinese, appena atterrato all'aeroporto di Leon. Ne approfitta per visitare questa città; non sa una parola di spagnolo, mi chiede se lo posso aiutare. Certo. Usciamo insieme dall'Osthel, percorriamo i vialoni alberati che costeggiano il Rio Bernesga, fino a giungere alla Cattedrale.
È d'obbligo una visita alla Cattedrale di Santa Maria la Regea, una delle opere principali del gotico spagnolo, però di ispirazione francese, costruita tra la fine del dodicesimo e l'inizio del tredicesimo secolo. È a croce latina, tre navate e cinque absidi, orientata con il portico verso Gerusalemme; la facciata è arricchita da statue gotiche, fra queste si nota a destra un'immagine di Santiago pellegrino.
Rimango estasiato guardando le meravigliose vetrate, ce ne sono 125! Diffondono luci e colori, con un effetto suggestivo che mi lascia incantato. Tra le grandi città finora visitate, Leon offre la miglior chiesa gotica di Spagna, almeno questo è il mio parere!
Federico mi dice che farà solo il percorso della ruta, da Leon a Sarria: ha a disposizione solo otto
giorni, e il prossimo anno verrà in primavera a fare gli ultimi km, (quelli che fanno i fighetti…), così in quattro turni diversi completerà il suo cammino.
Il pomeriggio scorre con passeggiate leggere, e tra una cerveza e l'altra la caviglia fa male!
Incontriamo molte conoscenze di pellegrinaggio, vedo Riccardo con Oscar e Nadia, il solito buen camino e cerveza per consolidare l'amicizia.
In tarda serata, dopo una buona cena con plato combinado, Federico mi confida che si è molto divertito. Mi chiede: Quanto tempo è che parli Spagnolo? Io sorrido rispondendo: Non saprei, ma sul cammino c'è solo la lingua della fratellanza!
Lui mi guarda con ammirazione. Non ci avevo pensato, dice. Qui ci si comprende anche solo con uno sguardo, regna un senso di condivisione tra gente di provenienza ed estrazioni culturali diverse. Io personalmente, mi sento arricchito da tutti questi incontri quotidiani, che non hanno bisogno di una
lingua comune, basta vivere questa esperienza a cuore aperto!
Arrivando all'Osthel, troviamo Rodrygo, non ha famiglia: un ragazzo spagnolo che vive viaggiano in bicicletta con gatto al seguito, e si mantiene facendo fotografie, che poi vende, in tutti i luoghi dove sosta.
Ci spiega che conosce bene l'Italia, essendo stato a Venezia e in molte altre città. Federico accarezza il gatto; Rodrygo racconta che lui normalmente dorme in tenda, sulla sua bici è predisposto un cesto attaccato al manubrio, che è la dimora del gatto. Quando viaggiano, sui lati della bici, fissa la tenda, sacco a pelo e bisacce, che contengono le crocchette del gatto e alimenti vari.
Quando tiengo dinero, me voi en albergue para ducciarme!
Rodrygo è simpaticissimo; l'oste ha riservato una stanzetta per lui, la bici ed il suo adorato Siris, per solo 10 euro! Gli chiedo se posso fare un video con il telefono, da mandare a mia moglie: lui accetta e parliamo della nostra comune convivenza con i gatti.
Rodrygo, gli dico, tiengo gato de once kilos!
Lui sorride, e facciamo notte raccontandoci la nostra vita, altra birra scorre sul cammino. Domani, Federico e Rodrygo prenderanno strade diverse, ed io riposerò vivendo altri bei momenti in Leon.

  1. RIPARTENZA

 Dopo il riposo forzato, ho una gran voglia di riguadagnare il tempo perduto: ci sono ancora molte tappe e la mia intenzione è quella di recuperare un po' di strada. Oggi vorrei fare una quarantina di km, mi rimetto sul cammino con la vista che spazia verso l'infinito… un serpentone sterrato bianco, diritto di fronte a me, mi porta in quasi cinque ore fino a Villar de Mazarife, più di ventun km senza intoppi. Sosta per un buon pranzo: incontro Javier e altre conoscenze, ma dopo il ristoro proseguo. 
Continuo sull'altopiano senza soffrire troppo: mi ripropongo che, se la caviglia dovesse dare segni di cedimento, allora mi fermerei al primo pueblo.  Intravedo La Milla del Paramo, piccolo borgo di poche case, poi Villavante, anche qui poco o nulla, ma trovo una fontana in un'area di riposo. Bevo, mi guardo intorno: ci sono pochi pellegrini, perché la maggior parte si è fermata a Villar de Mazarife, comincio a sentire la stanchezza, e decido che è ora di riposare. A breve arriverò a Hospital de Orbigo: passato il ponte mi soffermo ad ammirare la costruzione che risale a epoca romana, quelle pietre ferme tra loro da magliaia di anni, e penso al nostro ponte Morandi! Gli antichi costruttori non avrebbero mai omesso di eseguire il lavoro a regola d'arte! Invece ora viviamo in epoca di speculazione edilizia, e prospera il desiderio di ricchezza, sulla pelle di ignari "viandanti". Questo ponte ha venti arcate di ottima fattura, è il più lungo del cammino. Una targa riporta: "Paso Houroso" , Il passaggio d'onore,  riferito alla vittoria di un "Cavaliere" avvenuta nel 1434, che poi andò in pellegrinaggio fino a Santiago, per ringraziare.
A Hospital de Orbigo trovo l’ “albergue parroquial karl leisner", costo cinque euro: ci sono tutti i servizi, ne approfitto per usare lavatrice e asciugatrice. Non è un posto molto affollato: nelle camerate con novanta posti, anche se la capienza è dimezzata causa Covid, siamo solo in quattro pellegrini. Oltre a me, una ragazza italiana di nome Egizia, e due giovani tedeschi che sono già in branda.
Mentre aspetto il bucato, ne approfitto per scambiare due parole con Egizia.
"Non ridere per il mio nome, esordisce lei. I miei sono archeologi, e sono nata a Firenze, dopo che mia madre è tornata dall'Egitto."
"Il cammino ci fa incontrare persone con nomi meravigliosi" le rispondo tranquillamente.
Abbiamo continuato a scambiarci battute e opinioni sulla nostra avventura: Egizia mi è sembrata una persona libera nello spirito, molto gentile, educata, e anche simpatica, abbiamo solo avuto divergenze per la nostra fede calcistica… Lei "fiorentina", da buona viola mi ha detto: "Non li posso vedere gli juventini! Ma tu mi sembri un uomo equilibrato, come potrei odiarti?"
Abbiamo riso, con la birra tra le mani.
È mattino molto presto, l'obbiettivo è Astorga, e poi Rabanal del Camino, fino alla Cruz de Hierro, due simboli del passaggio obbligato dei pellegrini verso Santiago. Lasciata la strada in piano, i soliti saliscendi ci ricordano che non ci sono tappe facili; ormai ho nelle gambe tanti km, e camminare non fa più paura. Come consigliato dagli esperti camminatori, mi vesto a cipolla, maglietta microfibra, maglia manica lunga di cotone, felpa, e in caso di pioggia giacca a vento tecnica.
Arrivando ad Astorga, il fascino della cattedrale intitolata a Santa Maria, anno 1471, mi richiede una sosta per apprezzare lo stile gotico, foto di rito e proseguo. Salita verso Rabanal, trovo molti tedeschi nei bar per la colazione, io ho deciso di fare l'ultimo sforzo verso la Cruz de Hierro. Stanco ma soddisfatto, raggiungo questo simbolo per ognuno di noi, camminatori convinti, che qui lasceremo un ricordo, a rappresentare i sacrifici finora emersi sulla "ruta". Io prendo dal marsupio "la pietra", simbolo degli sforzi sostenuti, la getto alla base del lungo sostegno della croce. Quando cade sul mucchio dei sassi giacenti sulla collinetta, rivivo il momento in cui la colsi, accanto la tomba del padre di mia moglie. Avevo promesso che l'avrei gettata qui.
Ho proseguito poi fino a Molinaseca:  per oggi il mio cammino è terminato, domani con calma arriverò a Ponferrada, altro luogo simbolico di questo cammino. La notte mi ridarà le forze e lo spirito per proseguire: credo di poter affermare che il mio sta diventando un gran bel viaggio.

  1. LA MESSA DEL PELLEGRINO 

Per essere metà settembre, questa mattina fa un po' freschino, ma intorno alle undici arrivo a Ponferrada in maglietta a maniche corte, trovo l'albergue "San Nicolas de Flue", donativo: in pratica gli alberghi gestiti da volontari o ex parrocchiani chiedono una donazione, senza un prezzo prestabilito. Mi dicono che devo attendere fino alle dodici, ok vado a mangiare un panino.
Al ritorno trovo Josef, un ragazzone spagnolo alto un metro e novanta per cento kg;  ci assegnano i nostri posti in una camera di quattro letti, la condivideremo solo noi due. Siamo a piano terra e la finestra che affaccia sul cortile è proprio alle spalle del bancone dell'accoglienza, dove i due volontari registrano i documenti dei pellegrini, fornendo lenzuola e federe di carta monouso: sul cammino questa è quasi sempre la soluzione.
Nel pomeriggio sono in branda, vorrei riposare un po', mentre leggo sulla guida tutto ciò che serve per la tappa di domani, che mi porterà nella comunità del Bierzo. Non è semplice riposare, visto il continuo vocio che entra nella stanza: in pratica, è come se chiedessimo noi i documenti. Josef mi dice che esce per una passeggiata in paese. Lo seguo e ne approfitto per visitare il maestoso castello dei templari, opera costruita dai monaci guerrieri nel 1178: è un complesso di circa ottomila metri quadrati, ben conservato e ricco di simboli e riferimenti astronomici. Le sue mura sono ancora in ottimo stato; all'interno del castello si trova l’ufficio del turismo, dove faccio apporre il "Sello", il timbro sulla credenziale. Ponferrada è un luogo storico del cammino, dopo la lunga discesa dalla cruz de hierro.
All'interno del complesso monastico dell'albergue, si trova una piccola cappella parrocchiale dove un sacerdote, alle diciotto, terrà una messa per i pellegrini presenti. Chiede ad ognuno  la sua provenienza, ci sono francesi, tedeschi, gli immancabili spagnoli, e poi due italiani, io e Bortolo: non lo conosco, ma la sua voce è quella che, al momento della registrazione dei documenti, mi è rimasta scolpita nelle orecchie… un tormentone, parlava di un cammino fatto in compagnia della moglie, quasi piangendo. Quest’uomo di sessantott'anni non si è ancora rassegnato alla perdita della compagna, Angela: in pochi minuti, l'ha nominata parecchie volte.
La messa del pellegrino è un momento emozionante, alla fine il parroco impartisce una benedizione, augurandoci "Buen camino".
Per la cena sono anadato in uno dei tanti locali del centro storico, dove ho incontrato una coppia di giovani romani: l'accento chiaramente svelava l'origine di Valentina e Danilo. Seduti accanto a me, hanno mangiato costine d'agnello e bevuto vino rosso, mentre ci scambiavamo battute, opinioni, e racconti sul cammino. Ho capito che Valentina, come me, qualche giorno prima aveva avuto un problema: strappo alla coscia destra, calzava ancora una fascia elastica.
Spesso gli incidenti di percorso creano legami; i due romani stavano in un altro albergue, ma ci siamo ripromessi che l'indomani avremmo camminato insieme.
La mattina seguente era ancora buio, quando io e Josef, usciti sulla strada, ci salutiamo: lui farà il cammino invernale, deviando sulla sinistra, mentre io proseguirò sul classico percorso francese, a destra. Penso che continuare a camminare da solo sia riduttivo per il cammino, io credo nei rapporti umani, e sento il bisogno, a questo punto, di avere una compagnia per continuare.
Per uscire da Ponferrada e riprendere il cammino, bisogna proseguire attraversando tutta la città nuova: un interminabile rettilineo sul marciapiede che costeggia una grande via di comunicazione, urbanizzata con grandi palazzi, officine, supermercati, concessionarie automobilistiche e altro che mi riporta alla mente la periferia Milanese. Per circa otto km, ho continuato a camminare da solo, chiedendomi se ero sulla giusta via: non vi erano frecce gialle, o conchiglie incastonate sui muri.
Poi ho trovato un gruppetto di anziani spagnoli che seduti in un chiosco bevevano caffè.
"Senor, esta es la via del camino?"
"Claro! Estarà una tienda de vino, despues all'izquierda!"

Effettivamente, dopo oltre otto km, il cammino si insinuava alle spalle di un’azienda vinicola.
Riprendo a camminare, e dopo cento metri…area descanso! Incontro Bortolo che si disseta e ne approfitto per spogliarmi di maglia e giacca a vento, poi continuo attraverso i vigneti.

  1. IL  BIERZO…  e BORTOLO.

La comunità del Bierzo si sviluppa tra mille vigneti e segna il confine tra due regioni, Castiglia e Leon, e la Galizia. Finalmente, dopo la lunga strada asfaltata che porta da Ponferrada a Camponaraya e Cacabellos, cammino su sterrato e rocce. I vigneti sono invitanti, scorgo sulla destra due individui che mangiano uva… "I soliti Italiani!" Mi unisco a loro, la tappa è ancora lunga, un po' d’uva ci aiuterà a proseguire. Di solito i contadini lasciano i grappoli sulla pianta nei filari esterni, a disposizione dei pellegrini, è un'offerta tacita lungo il cammino. Vincenzo e Donato, i miei nuovi compagni, vengono da Milano, ma sono pugliesi, di Altamura, trapiantati al nord negli anni settanta.
Camminiamo insieme per molti km, fino a Pieros, un piccolo borgo che ha più fontane che case. Io ho un passo più veloce e li saluto: loro si sono fermati a bere, io invece sento che le gambe girano a mille!
Comincia un percorso in salita su asfalto, costeggiando la statale a me non gradita: nonostante il mio passo veloce, vengo superato da una trentenne inglese, che cammina spingendo una carrozzella con dentro un bambino biondissimo, bellissimo. Mi sorride, facendomi un segno di saluto, io lo accarezzo e lui vuole venirmi in braccio: la mamma mi spiega che fa così con tutti. Loro due fanno parte di un folto gruppo di inglesi, viaggiano senza zaino: un furgone trasporta tende, viveri e valigie. Qualcuno di loro è venuto in bici. Sembra che il bimbo gradisca la lunga passeggiata!
Dopo un po’, ricomincia un percorso collinare, tra boschi e vigneti: madre e figlio mi salutano e si fermano sotto una pianta, in area di sosta. Abbraccio il bimbo donandogli dei biscotti.
La tappa non è lunga, oggi, solo 24 km. Verso mezzogiorno sono quasi arrivato a Villafranca del Bierzo: finita la salita scorgo il cartello di Villafranca, e sulla destra un grande palazzo bianco, è l'albergue municipale de peregrinos. In una piccola discesa incontro Bortolo. "Vieni, mi dice, qui non c'è nessuno!" L'albergue è a poche centinaia di metri dal centro, ma ancora non ci sono pellegrini.
Con Bortolo prendiamo possesso di una camerata con sei letti a castello, ma occupata solo da noi. Per sei euro abbiamo trovato molti servizi, certo la cucina non si può adoperare, ma dopo la doccia andremo a pranzare in paese.
Il tempo cambia rapidamente, pioviggina, ma arriviamo passando davanti alla chiesa di Santiago, ben presto in una piazza piena di bar e ristoranti. Qui cominciamo a prendere confidenza tra noi, finché Bortolo non vede un gruppetto di giovani che conosce, e li chiama per pranzare con noi.
Francesco di Torino, Gabriel equadoregno e Klaus austriaco: sono tutti molto giovani, e amanti della cerveza! Un piatto dopo l'altro, innaffiati con molta birra, ci fanno trascorrere un pomeriggio in allegria. Comincia a piovere impetuosamente, ma noi non ci muoviamo dal gazebo che ci protegge; intanto arrivano anche Valentina e Danilo, si uniscono a noi per bere un sorso di vino ancora.
Ho trovato finalmente una bella compagnia: cinque Italiani tutti insieme, era un po' di tempo che non mi capitava. Valentina ha ancora molto male alla cosca infortunata, dice che domani insieme a Danilo decideranno se tornare a casa. Le facciamo gli auguri, poi il gruppetto si divide per andare nei diversi albergue. Io e Bortolo troviamo un pellegrino francese nella nostra camerata, mentre una ragazza austriaca è sola in una camera da sedici posti. Ci sembra molto timida, comunque le proponiamo di chiamarci se avesse bisogno di qualsiasi cosa.
Il pellegrino francese già dorme, quando Bortolo comincia a raccontarmi di lui: viene da Vicenza, è vedovo da quattordici mesi, e sta facendo il cammino in memoria di Angela, sua moglie. Io lo ascolto in religioso silenzio. Lui è un po' brillo", abbiamo bevuto molto, ma solo verso mezzanotte ci salutiamo. "Buona notte, Bortolo, domani ci attende un'altra avventura di oltre ventotto km.!”

  1. IL BORDONE, e O'CEBREIRO

Mattinata nebbiosa. Oggi si sale e anche molto: prima di lasciare l'albergue prendo una bottiglia d’acqua al distributore automatico. "Non prendi il bastone?" mi chiede Bortolo. Gli rispondo che non è mio, ma lui insiste: "Guarda che sul cammino si prende ciò di cui si ha bisogno, e si lascia quello che non ci serve più." Mi convinco e ho di nuovo un bastone che mi aiuterà nelle salite, ma soprattutto in discesa. Il "bordone" incustodito forse aspettava proprio me.
Attraversata Villafranca, si costeggia l'autostrada, sempre in dolce salita; improvvisa ci appare la deviazione che lascia l'asfalto, per portarci sulle montagne avvolte dalla nebbia: Trabadelo, La Portela de Valcarce, Vega de Valcarce. Qui cominciano otto km di tremenda arrampicata: a La Faba, piccolissima frazione, c'è un albergue dove Bortolo, già stanco, mi propone di sostare, ma lo convinco a fare l'ultimo sforzo. Arriviamo a La Laguna de Castilla, un'altra piccola comunità di montagna: c'è un bar dove ci rifocilliamo con uno spuntino, faccio delle foto, e il mio compagno di viaggio mi ritrae in un atteggiamento di felicità raggiunta. Mancano ancora circa tre km per arrivare in cima al O'Cibreiro, a mille trecento metri di altezza, che rappresenta la cima più alta del cammino.
In breve, tramite un piccolo sentiero tra le rocce, raggiungiamo il punto di confine tra Castiglia Leon, e l'ultima regione verso Santiago, la Galizia. Una grande pietra, scolpita con i simboli e colori della terra che ci ospiterà fino alla fine del nostro viaggio, indica il cambio di regione. Immancabili le foto per futura memoria: sento di aver raggiunto un altro traguardo, anche qui, lascio una simbolica pietra accanto a questo monumento.
Gli ultimi km, li ho percorsi con un’emozione che non avevo mai sentito: il cuore si apre, questo è un luogo storico, la salita anche se dura, non fa paura!
O'Cibreiro… eccolo, un borgo raccolto, fatto di case con i tetti di paglia e le pareti di pietre incastonate tra loro. Al nostro arrivo ci attende una pioggerellina fine: la nebbia si sta diradando, comunque la Galizia ci accoglie con la proverbiale umidità che la contraddistingue. 
Il borgo è di impronta celtica, anche la musica, nei locali di ristoro, è caratterizzata dalle cornamuse; tutto molto bello, io mi sento soddisfatto di come è andata la tappa, non mi pesa troppo la fatica degli ultimi km.  L'albergue del peregrino è ancora chiuso, aprirà alle dodici e trenta, manca ancora molto.
In un vicino bar, cerveza e tortillas de patatas… poi via, andiamo a prendere il letto! Arriviamo e manca ancora qualche minuto, ad aspettare c'è Ugo, un ragazzo francese che esordisce :"Io soy el primero!"
"E noi siamo Campioni d'Europa!" risponde Bortolo. Ugo scoppia in una fragorosa risata: "Io soy campeon du mundo!" Il francesino vuol fare il furbetto… Di lì a poco Ugo comincia a parlare della fatica dell'ascesa al O’Cerbeiro. "A noi ci ha trasportati un elicottero!" gli rispondo ridendo. Morale della favola, la sera si è aggregato a noi per la cena.
Alle ore diciotto, c’è una messa per i pellegrini, non si può non partecipare: il parroco esordisce raccontando che qui c'è la tomba di Elias Valina', il parroco che nel 1984 fece tutto il percorso del cammino francese, dai Pirenei a Santiago. Fu lui a voler indicare con le frecce gialle il tracciato.  Il parroco Don Isidoro, dopo la benedizione ai pellegrini, sceglie un rappresentante per ogni comunità presente, tedeschi, spagnoli, inglesi, italiani e via dicendo. Ognuno legge nella propria lingua la preghiera del pellegrino, come auspicio di buon cammino; infine, tutti riceviamo in dono un sassolino con la freccia gialla.
La giornata termina con una cena comunitaria insieme ad Ugo, Klaus, Francesco e Gabriel che nel frattempo ci hanno raggiunti; come spesso avviene, si resta in compagnia fino alle ventidue, quando si spengono le luci, e poi tutti a nanna.

  1. TRIACASTELA e OMERO

 Questa mattina si parte presto, pioviggina come spesso accade in Galizia. Siccome è ancora buio usiamo le pile frontali, per vedere la strada. Camminiamo su asfalto per qualche km, fino ad arrivare sull’altura di San Roque, dove scattiamo alcune foto ai piedi della statua di bronzo, dedicata ai pellegrini; uno spuntino con frutta e proseguiamo in discesa, ma sempre su asfalto, che secondo me produce ancora più sforzo muscolare.
Comincia a schiarire, ma la pioggia non tende a diminuire: propongo a Bortolo di fermarci per un thè caldo al prossimo bar che incontreremo. Dopo sette, otto km, nei pressi dell'alto do Polo, ecco un bar, ma ci sta venendo incontro un grosso cane lupo: ha l'aria minacciosa, Bortolo ha paura, molta paura.: "Stai tranquillo, gli dico, ho il bastone, vedrai che non si avvicina!"… Invece il cane punta proprio verso di lui, che grida: "Di chi è questo cane?" Non c'è nessuno nei pressi, ma poi dal bar esce il proprietario che ci dice di stare tranquilli… Bortolo gli grida che lo deve tenere legato, e mi chiede di proseguire.
La Galiazia offre paesaggi magnifici, verdi colline e prati curati, boschi dove non penetra il sole. Tutto, intorno  è oggetto di ammirazione, quasi dimentico il vero motivo della nostra presenza qui. Spesso mi soffermo ad ammirare gli "Horreos", tipiche costruzioni di pietra, che servivano per conservare i cereali dagli attacchi dei roditori. Camminiamo per ore senza incontrare anima viva, qui i giovani sono tutti emigrati verso Svizzera e Regno Unito. Superiamo Padornelo, poche case, la solita chiesa di pietra con annesso cimitero, e un punto d'osservazione; dopo i soliti saliscendi tra asfalto e sentieri, un cartello ci indica Triacastela a 8 km.
Presto incrociamo altri pellegrini e affrettiamo il passo, arrivando in poco meno di due ore.
Invece di scendere per un sentiero che porta nella parte antica del paese, restiamo su avenida Castilla: qui solo costruzioni nuove, un supermercato, ristorante, e un albergue privato. All'interno non c'è nessuno, ma sul marciapiede ci viene incontro un omino anziano dall'aria un po' smarrita. Dice di essere francese, ma ha uno spiccato accento sardo. Ci racconta di aver lavorato per sedici anni in Francia, faceva il cuoco. "Allora puoi dirci dove si mangia bene qui," chiede Bortolo. "Se volete venire, qui all'angolo, fatti dieci metri, c'è il ristorante dove mangio tutti i giorni." Ok, Omero ci ha convinti.
Nel frattempo, arriva una signora con scopa e paletta, che, e ci chiede se vogliamo dormire nell'albergue rifugio del Oribio. Omero ci spinge quasi dentro: "Andate qui, vi tratteranno bene"
Effettivamente non c'è nessuno, e la signora è felicissima di metterci a disposizione tutti i servizi, compresa lavadora y secadora; per un totale di 10 euro abbiamo la camerata da 27 posti solo per noi.
È quasi ora di pranzo, Omero è già al ristorante, in attesa del nostro arrivo.  Gli chiediamo di sedersi al nostro tavolo: dapprima è restio, poi accetta e comincia a raccontarci la sua vita. A diciotto anni emigrò dalla Sardegna per andare in Belgio a lavorare, poi dopo qualche anno si trasferì in Francia per fare il lavapiatti, divenne cuoco, ma lo sfruttavano: lavorava per dieci, dodici ore al giorno, ma era pagato solo per quattro. "Prendo una pensione di 650 euro, purtroppo." Nei suoi occhi traspare tristezza, ma continua a raccontarci di sé. "Mangio qui tutti i giorni, pranzo e cena!"  Con un accordo di 200 euro mensili i proprietari del ristorante "Ester" lo hanno adottato come uno di famiglia. Quando la cameriera ci chiede cosa vogliamo, lui dice: "Menù del dia… sono pellegrini, i miei amici italiani!" Notevole affermazione per un uomo di settantasei anni che abbiamo appena conosciuto. Tutto è molto buono, e comunque ci sembra davvero di essere a casa, in famiglia.
Ci salutiamo, proponendoci di andare alla scoperta di Triacastela; stasera ci ritroveremo tutti insieme per la cena. C’è una festa patronale, ne approfittiamo per un "timbro" e per visitare l'antica chiesa di pietra con annesso campanile, proprio davanti al piccolo cimitero.
La sera, Omero è puntualissimo: alle venti ci ritroviamo da "Ester". Lui dice che di sera mangia poco, solo un caldo gallego, la zuppa tradizionale. Gli offriamo un bicchiere di vino, lui risponde… solo acqua! Omero è un autentico personaggio del cammino: quando racconta di sé i suoi occhi lasciano trasparire umiltà, ma anche dignità. Vuole portarci nella sua casetta; il padrone di casa gli fa pagare una cifra simbolica di 200 euro all'anno, e altri 200 per un piccolo giardino, dove Omero pianta patate, cavoli, cipolle, e tutto quello che gli serve. A volte vende il raccolto al ristorante.
Entriamo in religioso silenzio nei due minuscoli ambianti, con piccolo bagno annesso, per un totale di circa 25 metri quadrati.  In cucina c’è anche il camino. Quando apre il frigorifero ed estrae sei lattine di birra per donarcele, quasi mi viene da piangere. Tornando in albergue, anche Bortolo mi confida di essersi commosso.
"Un uomo di 76 anni che, dopo poche ore, condivide il suo numero di telefono con due pellegrini conosciuti per caso e li invita in casa sua… Tutto questo ha dell'incredibile, se ci pensi!" 
"Mah… questo è il cammino!"

  1. SARRIA e SILVANA

 Questa mattina molto presto decidiamo di lasciare Triacastela e soprattutto Omero, che ci ha trasmesso una lezione di grande umanità.
Appena fuori dal paese, c'è un bivio, a destra San Xil, 26 km, a sinistra si va per Samos, 32. Decidiamo di fare il percorso più lungo, per visitare il monastero di Samos, da sempre rifugio di pellegrini: la scelta è dettata dal cuore, d'ora in avanti ognuno affronta le tappe in maniera personale, in base a ciò che prova nel proprio animo.
Io penso che una camminata fra i boschi galiziani non possa che farci bene. Bortolo accetta volentieri. Lui è al suo quarto cammino sul percorso francese: l’ultima volta, nel 2019, era in compagnia della moglie Angela, ma dovettero tornare a casa perché lei fu colpita dalla grave malattia per cui in seguito morì. Me ne parla con un velo di tristezza, ripetendomi per l'ennesima volta di voler terminare il tragitto da Leon a Santiago come se fosse con lei. Per questo, ogni volta che ci fermiamo a farci timbrare la credenziale, lui ne estrae sempre due: una era quella di Angela, con i timbri fino alle Mesetas. 
La Galizia comincia ad affascinarmi, sento che questo angolo di Spagna mi rasserena, donandomi un grande senso di pace. C'è molta natura ancora incontaminata, è una regione poco popolosa, vista la grande migrazione del suo popolo, soprattutto verso la Svizzera, cominciata negli anni Sessanta. Ora sono evidenti i segni di sviluppo e crescita urbanistica: si notano molte case nuove, anche in zone rurali, frutto delle rimesse da paesi lontani, che hanno dato a questo rincon di Spagna un’impronta moderna. Non c'è pueblo che non misceli sapientemente una stalla di pietra di qualche secolo fa, gli horreos, tradizionali granai, con moderne abitazioni dove non manca nulla.
Oggi sto bevendo molto, a causa delle interminabili salite che incontriamo. Una pietra di segnalazione, di quelle con la freccia e la conchiglia, indica che mancano 137 km a Santiago.
Il bello della Galizia è che se ne incontra una ogni cinquecento metri: questo mi conforta molto, comincio a percepire l'avvicinamento alla meta.
La giornata è calda ma ariosa; in breve, arriviamo a un pianoro, da cui si scorge il Monastero di Samos, da sempre legato alla storia del cammino.  La sua costruzione risale al sesto secolo, e dall'undicesimo secolo vi si osservano le regole Benedettine. Durante le guerre napoleoniche, fu trasformato in ospedale militare, e i monaci dovettero abbandonarlo, per farvi ritorno nel 1880. Arrivando, insieme ad altri pellegrini, non si può che rimanere incantati da tanta maestosa bellezza, in cui lo stile rinascimentale si mescola al barocco. Due grandi chiostri accolgono molti viandanti, quando le camerate sono piene di pellegrini.
Continuiamo il nostro saliscendi, che ci conduce attraverso sentieri umidi, profumati degli eucalipti, quasi fino a Sarria, dove arriviamo intorno alle tredici. Bortolo mi manda al supermarket a fare la spesa: vino, pane, formaggio di capra e Chorizo, un ottimo salame, e l'immancabile "Estrella Galizia", che gli spagnoli reputano la birra migliore del mondo.
La città vecchia si sviluppa su una collina, e per raggiungerla bisogna fare cento gradini… dopo 32 km, come potremmo rinunciare?
La solita freccia gialla indica il percorso. Qui a Sarria comincia la strada che migliaia di persone scelgono per fare il "loro" breve cammino, 112 km fino a  Santiago, e poi prendono la Compostela, come tutti. Ma il vero pellegrino è colui che si mette in marcia nei Pirenei, avendo davanti a sé 800 km di strade colme di storia.
Nella via principale del centro Bortolo mi indica l'albergue Artesan camino de Santiago: si tratta, in realtà, del laboratorio di uno scultore, che vende le sue opere e in più offre ospitalità in una struttura posteriore al negozio, un vero albergo con tutto ciò che serve.
Nel pomeriggio, girando per il centro, ci rendiamo conto della gran folla di pellegrini, che in cerca di sistemazione riempiono strade, bar, ristoranti. Ogni negozio offre articoli inerenti il cammino, e si respira una certa aria di consumismo. Si possono incontrare folti gruppi di boy scouts, studenti, stranieri in genere.
Ci sediamo all'unico tavolo libero che troviamo; accanto a noi una signora aspetta di cenare, anche se sono poco più delle diciotto e trenta. "Ma hai fame?" le chiede Bortolo.
La signora è italiana, ma gli risponde con accento svizzero. "Mangio adesso perché non ho fatto pranzo!" Intavoliamo una conversazione con Silvana, Bortolo le offre del vino, e le propone di camminare con noi da domani in poi. A quanto pare le piacerebbe. "Ma guardate che io non cammino veloce!" Va bene, risponde il magnagatti vicentino, il vecchio marpione: forse ha trovato in Silvana la compagna che cercava.

  1.  AMARANTA e PORTOMARIN

Sono le sette del mattino, io e Bortolo ci sediamo ad un tavolo del bar fuori l'albergue, in attesa di Silvana,
Quando arriva facciamo una rapida colazione, e poi si parte. La tappa che ci aspetta è breve, ma come sempre ci sono insidiosi saliscendi. Mi accorgo ben presto che da qui in avanti il cammino non sarà più lo stesso: c'è troppa gente sui sentieri… non sono pellegrini normali, ma “fighetti”, come li chiamo io, senza zaino al seguito, (se lo fanno trasportare da un servizio postale a 5 euro). Hanno con loro, sulle spalle, solo uno zainetto leggero con viveri ed acqua, scarpe tecnologiche, indumenti tecnici, occhiali da sole, ecc. A volte provo un certo fastidio per tutta questa ressa!
Nel primo bosco che incontriamo, si fa fatica a stare sul sentiero: c'è un piccolo passaggio su lastre di cemento che coprono un corso d'acqua, e bisogna mettersi in coda per superarlo. Visto che c'è poco spazio, lo passiamo a fatica.
Per la prima volta, dopo tre settimane, costeggiamo la ferrovia, dove passa un piccolo treno locale, suonando la sirena.
Cammino affiancato da Silvana, Bortolo è dietro di noi., mi di lei. "Ho sessantaquattro anni, ci racconta la Svizzerotta, come l’ho ribattezzata. Sono pensionata e vivo a Ginevra. Facevo la segretaria in ospedale." "Sei sposata, hai figli?" le chiede Bortolo. Lei fa segno di no con la testa. "Non ho mai voluto relazioni durature." Si vede che non vuole spiegarci di più…
Dopo il primo paesino si esce dal bosco; molti si fermano a fare colazione, mentre noi proseguiamo e incontriamo Amaranta, che arranca in salita con i due bastoncini. Io la affianco, incitandola: "Buen camino!" " Fermati, mi dice lei, sei italiano?" È felice di parlare con me, forse avevo già incrociato il suo sguardo sull'alto de San Roque.
Amaranta è una bella brasiliana di trentasette anni, si è separata da poco, dopo un breve matrimonio con un italiano; vive a Belluno dove fa l'infermiera. Mi offre un'arancia.
"Grazie, ti chiamerò Naranja, che in spagnolo significa arancia!” Lei ride.
“Sei simpatico, Corrado. Sei da solo?"
Rispondo che siamo un trio di italiani.
"I miei compagni sono forse cento metri dietro di noi.”
"Aspettiamoli, dice lei. Così prendo fiato."
Lasciate le colline e i pascoli aperti, con mucche che sembrano felici, rientriamo nei boschi con la tipica frescura galliega: in terra ci sono già molte castagne, grosse come uova, come non amare questi luoghi? Amaranta fa fatica, mi dice di andare avanti, magari ci vedremo a fine tappa.
È solo mezzogiorno quando superiamo il rio Minò, passando su un altro ponte storico. Un’antica scalinata ci porta all'ingresso di Portomarin: foto di rito con Silvana e Bortolo, poi cerchiamo l'albergue de peregrinos, mentre Silvana trova posto in una struttura privata: lei cerca sempre soluzioni personali, non vuole dormire con sconosciuti. Forse non è lo spirito del cammino, ma è comunque un’esigenza rispettabile. Le strutture private costano di più, ma accettano prenotazioni.
Quelli che fanno solo le ultime tappe, solitamente organizzano il viaggio in questo modo, altrimenti come farebbero a spedire gli zaini?
All'ingresso del nostro albergue forse cento metri Bartolo ed io troviamo un tavolo pieno di materiali per i pellegrini, messi a disposizione dalla giunta di Galizia: cappellini, magliette, portachiavi, borracce… io ho scelgo una maglietta bianca con la scritta “NO violenza alle donne!”
Questa città nel medioevo si trovava sulle rive del rio Minò: in epoca moderna fu smontata e ricostruita sulla collina, infatti la chiesa di San Nicolas, esternamente, porta evidenti numerazioni sulle pietre con cui fu ricostruita, con fattura medievale.
Bortolo ci guida nel centro e andiamo a cenare sotto i portici, nella pizzeria di un ragazzo Milanese. La serata termina in compagnia di tre nuovi amici che si raccontano la giornata. "Arrivato al pilastrino dei 100 km a Santiago, ero emozionato" affermo io.
Silvana: "Sono felice di avervi conosciuti!" Bortolo: " Io avrei voluto avere Angela con me…" Lui si porta dietro costantemente questo peso.
Vuole andare fino a Muxia, ai piedi della chiesa della Virgin de la barca, per gettare nell'oceano alcune reliquie di sua moglie.

11. PALAIS DE REY e “HEGE”

Ripartiamo da Portomarin scendendo verso il ponte sul rio Minò, dove le frecce gialle indicano di andare a sinistra. Per qualche centinaio di metri, la strada è illuminata da lampioncini gialli: sotto uno di questi, incontriamo Vincenzo e Donato, i due milanesi di Puglia: "Italiani brava gente, come va?...” "Torniamo verso casa! Donato ha un piede malconcio."
"Ma come? Mancano meno di 92 km!” replico io.
“Sì vabbè, però noi ne abbiamo abbastanza.”
È sempre Vincenzo che parla, mentre Donato mi sembra ombroso e distaccato. Comunque noi continuiamo: "Buen Camino."
Proseguiamo con buon passo fino a Ligonde, dove c’è un’area attrezzata per riposo, con fontana e punto di osservazione sulle colline circostanti. La Galizia è spettacolarmente bella, io non andrei più via di qui. I suoi boschi freschi e intensamente profumati di eucalipti, alti trenta metri ed oltre, spesso mi fanno rallentare il passo per ammirarli; a volte Silvana e Bortolo sono  cento metri dinnanzi a me.
Sul cammino incontro una coppia di anziani francesi, Gérard e Josephine, lui di 84, lei di 81 anni. Li saluto e mi rispondono in francese: "Bonjour". I francesi tendono a parlare ostinatamente nella loro lingua madre. È  diversi giorni che incontriamo questa coppia, dal passo lento ma continuo. Lui mi dice che non hanno fretta, ma vogliono arrivare a Santiago in quaranta giorni.
Spesso, nella parte finale delle tappe, abbiamo visto questi arzilli vecchietti, senza zaino, arrivare a fine giornata, magari tre o quattro ore dopo gli altri… ma sono sempre arrivati, la costanza li premia.
La tappa di oggi è lunga, quasi 40 km, ma noi ci fermeremo un po’ prima, a Palais de Rey.
Bortolo mi fa segno di prendere un vicolo sulla sinistra: " Vai su cento metri, c'è l'albergue San Marcos!"
Troviamo una struttura nuova, fornita di ogni confort, un prato all'inglese con un gazebo bellissimo, camere da quattro posti massimo, ma anche camere singole, con servizi interni: ne è felice Silvana, sempre in cerca della propria intimità.
Il paese non è grandissimo, ci sono i soliti bar ristoranti pieni di pellegrini, Santiago ormai è vicina, e le presenze sul cammino si moltiplicano. Mancano meno di 60 km.
Nel pomeriggio, dopo la doccia e un riposino, ci ritroviamo in giardino: ci sono molti punti ombrosi dove ci si può stendere a riposare. Abbiamo pensato di consumare un piccolo pasto, ma Bortolo come sempre esagera, due bottiglie di vino, un "Crianza della Rioja" ed un "Rosè" che io adoro… Siccome il tavolo è molto grande, si aggiungono a noi due donne, anche loro hanno del vino. La biondina dinnanzi si chiama Hege, ha cinquant'anni  ed è svedese. Parla bene italiano, avendo fatto per vent’anni le vacanze sulla riviera romagnola. Una cinquantenne MOLTO  affascinante!
Accanto ha un’amica norvegese. Si parla del più e del meno, per alcune ore. Il tavolo di pietra ha una copertura di vetro: non riesco a distogliere lo sguardo dalle lunghe cosce di Hege. coperte da una leggerissima minigonna. Ad un certo punto glielo dico: "Hege, per favore, non accavallare le gambe…. Mi stai facendo salire la pressione!" Lei mi prende la mano e mi porta verso il prato. La seguo ipnotizzato, complici i tanti bicchieri di vino, ma Silvana mi risveglia dal sogno, sussurrandomi all'orecchio: "Corrado, guarda che queste due sono lesbiche!"
"Non è un problema" rispondo sorridendo. Hege ha un corpo stupendo, sdraiata sull'erba comincia a rotolarsi fino a quando mi accorgo che siamo soli; lei mi prende la mano e mi fa quasi accarezzare i suoi piccoli seni. A quel punto mi risveglio dal torpore "Sei bella, le dico, ma a casa ho qualcuno di importante… Non sono venuto sul cammino, per cadere in tentazione!”
Comunque devo ammettere che Hege mi ha lasciato un profondo turbamento.
Capitolo chiuso, Silvana mi riporta a tavola e Bortolo mi scatta delle foto: ho in mano un panino e nell'altra un bicchiere di vino. Silvana mi guarda con ammirazione: a posteriori, osservando quelle foto, qualcuno potrebbe chiedersi se per caso avesse perso la testa per me.
Le storie non sono sempre come sembrano. Forse avrei potuto tornare a casa con un'avventura da raccontare, ma poi come avrei vissuto? Non sarei stato in grado di raccontare tutte le cose belle di questo mio viaggio.

12. IL PULPO DE MELIDE

Oggi ci attende una tappa dura, 33 km, ma ormai i saliscendi non fanno più paura. Ho ancora in mente la giornata di ieri, a Palais de Rey, con Hege che quasi mi faceva sbandare dal mio percorso. Mi hanno raccontato che episodi simili avvengono in continuazione. Addirittura, nel mese di luglio, il 25, quando si celebra San Giacomo, a Santiago in cattedrale si è celebrato un matrimonio tra due pellegrini, che si erano conosciuti l'anno precedente sul cammino Portoghese.
Continuiamo a camminare, avvolti in una leggera nebbia: qui nei boschi Galiziani è quasi sempre così, l'aria del vicino oceano Atlantico porta sempre con sé un po' di umidità, che rende questa regione la più verde di Spagna. Intorno alle dieci, un caldo sole squarcia la bruma.
Saliamo costantemente per i primi 13 km. Oggi Bortolo sembra più noioso del solito, parla sempre della moglie, e Silvana gli ripete: "Devi rifarti una vita!" Lui continua a lamentarsi:" Mi fa male un piede…" Vorrebbe fermarsi, io gli ricordo che lo faremo a Melide, per mangiare il Polpo alla Gagliega, e lui si rassegna.
Arriviamo a O LOBEREIRO, sulla cima di uno dei tanti colli, c'è un'area di riposo. Ad un certo punto Bortolo viene letteralmente circondato da alcune ragazze: una di loro gli si butta al collo gridandogli: "Mio salvador!" Lui ci guarda interdetto, ma le ragazze spiegano che due settimane prima Bortolo ha guarito dalle vesciche una di loro. "Ah sì! Mi ricordo, tu sei Carmen dell'Estremadura!" La ragazza lo abbraccia a tal punto che Bortolo chiede una birra… per respirare! Tutti scoppiamo a ridere.
Essendo un biologo, Bortolo ha lavorato all'ospedale di Vicenza come responsabile del laboratorio analisi; porta sempre con sé nello zaino tutto l'occorrente di pronto soccorso, addirittura alcune fiale di adrenalina, bendaggi, punti per sutura. Ci racconta che Carmen aveva una grossa vescica, e lui con un piccolo intervento chirurgico ha rimosso la pelle lacerata, permettendo a questa ragazza spagnola di riprendere il cammino. Adesso lei lo ha preso in parola e sono seduti sotto le piante con due lattine di "Estrella Galizia", la sua birra preferita.
Bortolo ci racconta che, in quarantatré anni di lavoro, ne ha viste di tutti i colori: è stato nella ex Jugoslavia durante il conflitto che ha separato i vari popoli. Basta sangue, dice quasi piangendo. Questo è un altro tormentone della sua vita.
Carmen e le spagnole ci salutano, mentre ci rimettiamo in marcia. Melide è ancora piuttosto distante, ma appena lasciamo i sentieri boschivi, si nota un gran movimento: frotte di pellegrini vanno in un'unica direzione, alla ricerca delle pulperie! A noi è stata raccomandata una sosta "Da Ezequiel", la pulperia più famosa di Spagna. È quasi mezzogiorno, ci tocca aspettare una decina di minuti, il grande ristorante è stracolmo, con un unico menù per tutti: pulpo e cerveza! Servono dosi abbondanti di polpi giganti, non ci sono le posate, solo stuzzicadenti, perché il pulpo è tagliato sottile, cucinato semplicemente nella sua acqua e condito con olio d'oliva. Come contorno ci portano dei peperoncini verdi molto dolci e la patatas che in Spagna non manca mai, accompagna tutti i piatti tradizionali.
Riprendiamo la marcia, passiamo di fronte ad un'altra famosa pulperia "Da Garnacha": anche qui tutti i posti sono occupati, full time dalle 12 alle 24.
Dopo le quattro del pomeriggio arriviamo stanchi ad Arzua. Bortolo osserva che qui è come nei vecchi film del far west: non c'è molto, una strada lunga con case, chiesa, bar e un ristorante. Troviamo una sistemazione nell'albergue privato Don Quijote, noi due in 35 cinque euro a notte, noi i soliti 10.
La sera ci ripromettiamo di fare solo un giretto e piccola cena, ma incontriamo Amaranta insieme a Giuseppe, un ragazzo sulla quarantina, di Catania, che ci chiede: "Facciamo la spesa e mangiamo insieme?" Ok… tutti comprano tutto! Morale, vino, formaggio di capra, immancabile chorizo, una Panada con acciughe (torta salata), uva, dolci… Restiamo a tavola fino alle 23, nella cucina dell'albergue. In Galizia scorre molto vino oltre la buona cerveza!

13. PEDROUZO meno 20 km.

Non mi sembra vero, ma questa mattina superiamo ben presto il pilastrino dei 50 km: sì, Santiago è vicina. Sono emozionato e volontariamente cammino da solo per il primo km, ma ben presto Silvana si ferma per aspettarmi. "Tutto a posto, Corrado?"  Io quasi non rispondo, le faccio segno con la mano, andiamo. È già buio, le giornate si stanno accorciando, anche perché la Galizia è molto a ovest, quindi il sole sorge un'ora dopo rispetto ai Pirenei. Gli scenari sono sempre quelli dei boschi profumati dagli eucalipti, e c'è sempre troppa gente su questi sentieri: il fatto che molti scelgano di percorrere gli ultimi 100 km, implica un certo affollamento, anche di natura commerciale. Qualcuno ci guadagna, ma lo spirito del cammino io non lo vedo più.
Bortolo incontra Luisa, una donna minuta, di Treviso, le aveva messo a posto una caviglia, una decina di giorni prima. "Don Bortolo! Ho proprio bisogno di te!" Pare che la caviglia non sia ancora guarita. "Perché ti ha chiamato così?" chiede Silvana. Lui ci spiega che quella sera che Luisa aveva male, anche una signora di Torino aveva avuto bisogno delle sue cure, così lo avevano soprannominato Don Bortolo. Silvana ride. "D'ora in poi ti chiamo Don Bortolo!"
Luisa presentava una caviglia gonfia, le proposi di accettare una fascia elastica, (ne avevo due). "Quanti soldi ti devo dare?" "Luisa, è un regalo…"  Lei forse per il dolore era frastornata, ma accettò. Bortolo le spalmò una crema antidolore. “Te la senti di camminare?"  Rispose di sì, ma dopo qualche centinaio di metri rimaneva molto distaccata: occorreva una soluzione alternativa. "Chiamiamo un taxi" proposi.
Il sentiero, per fortuna, passava a fianco della Nazionale 547: ci posizionammo sulla strada, finché non passò un taxi privato, (ne passano tanti),  e spiegammo che la signora doveva essere portata fino a un centro medico. Luisa non voleva lasciarci: "Come faccio, volevo arrivare a Santiago!" Piangeva salutandoci, però il cammino non è uguale per tutti, a volte i più sfortunati devono abbandonare.
Continuiamo tra boschi, attraversando piccole frazioni di paesi rurali; non ci sono fontane e ora fa caldo.
In un luogo quasi sperduto, troviamo una piccola fattoria con il portone spalancato. Su un grande cartello c’è scritto "Donativo". Joan ci accoglie, dicendoci di mangiare e bere tutto quello che desideriamo! Non ci sono altri pellegrini oltre noi tre, propongo di aggiungere qualche altro euro e mangiare ancora. A questo punto Joan ci propone di assaggiare quello che a noi sembrava un tè freddo…  invece è un vino "Casero" di sua produzione. Squisito, ambrato e freschissimo, va giù con facilità, ma riscalda… fa ben 15 gradi! Morale, rimaniamo con Joan per un'ora o poco più, mangiando  anche troppo! La moglie di Joan, vedendo arrivare altri pellegrini, sforna di continuo panadas, tortillas de patatas, uova con peperoni dolci, e tante altri dopo aver scattato una foto ricordo. Questo magnifico uomo ci ha fatto vivere il vero spirito del pellegrino! Hola! Vamos… Mancano ancora pochi km, a Pedrouzo si respira sempre più forte la vicinanza alla meta. Don Bortolo spesso si ferma a fotografare i paletti segnaletici, che in Galizia sono posizionati ogni cinque 500 m. Non ci perderemo di sicuro.
Pedrouzo, altro nobile paesino, costituito da una strada principale con qualche albergue, supermarket, ristorante, bar, e poco più. Presso l'albergue Otero per dieci euro troviamo un’ottima sistemazione, Silvana si ferma poco più avanti. Antony, il ragazzo che ci accoglie ci indicapil Ristorante Parrillada  Regueiro. Ottimo, dice.
Qui, con nostro grande stupore, c'è un menù pellegrino a dieci euro. Difficilmente delle persone normali avrebbero finito tutto ciò che ci hanno servito: dopo una mega paella (sufficiente per otto persone) noi tre eravamo già sazi, ma di secondo Don Bortolo ha chiesto uno stufato gagliego. Quando portano il piatto, lui dice: " Ma non basta per tutti e tre."  "Senior, esto es para el, despues arriba otro dos!"
Il piatto conteneva almeno mezzo chilo di una favolosa carne di vitello, stufata per alcune ore, con patate, carote, e peperoni!  Silvana ha  fatto fatica a terminarlo… poi dolce, caffè e bottiglia di vino.Dopo tutta quella carne, ho avuto la felice idea di offrire ai miei compagni un chopito, liquore di erbe di Galizia, al costo di due euro: è stato come introdurre uno sturalavandino in uno scarico intasato.

 

 

Autore: Corrado Ruggiero
Data: 23 gen 2022