IENA PLINSKY
Il suono sottile della sveglia mi trovò impreparata. Mi ero addormentata mentre cercavo di lottare con l'incertezza del futuro che si avvitava nel cranio e avevo sognato Iena Plinsky che si insinuava nella mia vita. Era uno sfigato insegnante di lettere di un qualche liceo del centro, e io andavo ad occupare l'appartamento che era stato suo, e dove lui ancora dormiva tra il caos della sua vita. Posteggiai la Clio nell'androne tra cassette vuote svogliatamente impilate, e mi avvicinai a quello che credetti il portinaio per chiedere dell'appartamento, ma quello, da portinaio efficiente e annoiato, mi fece cenno con la mano chiusa eccetto il pollice, di andare su, prima che potessi sfoggiare la frase gentile che avevo, al momento, preparato. Salii, senza bagagli, l'ampia curva della scala di pietra scura, ornata da una elaborata ringhiera di ferro. La temperatura era più fresca ora, e le mie gambe più leggere, nel ricordo di un'altra scalinata, quasi uguale a quella, che faceva parte della mia adolescenza.
La porta a vetri, socchiusa, che dava sul terrazzino del primo e unico piano, era quasi del tutto ostruita da sacchetti di plastica, dei vari supermercati della zona, pieni di qualsiasi cosa si potesse immaginare: stoviglie, abiti, attrezzi vari da artigiano. Era chiaro che non fosse spazzatura, sembrava tutto funzionante e in buono stato, messo lì provvisoriamente alla rinfusa, prima di essere ordinatamente sistemato. Ma tutta quella mercanzia non avrebbe dovuto trovarsi in quel posto: davanti alla porta di un alloggio vuoto, da quel giorno, a mia disposizione . Scavalcai qualche sacchetto e spingendo la porta, guardai dentro, nella penombra, vidi che l'interno era conciato allo stesso modo. Non mi disperai, perchè avevo esaurito le forze. Una testa lanosa, sbiadita dal sole, spuntò da dietro una balaustra di improbabile marmo rosso. Capii che la balaustra era la testiera di un letto. Capii che in quel letto si era appena svegliato una specie di energumeno biondo, un muscoloso guerriero celtico: Iena Plinsky senza benda sull'occhio, appunto.
Che ci fai qui dentro? Questo appartamento è mio! Da oggi doveva essere vuoto e ridipinto. Pulito! Questo cazzo di schifo di posto, doveva essere vuoto e pulito!
Iena mi guardò con gli occhi spalancati e sembrò dire: C’è stato un incidente: circa un’ora fa un piccolo jet è precipitato nel centro di New York. C’era a bordo il Presidente.
Questa è la frase di un film, la conosco bene, e non la diceva Iena Plinsky, ma il commissario di polizia che lo ingaggiava per salvare il Presidente, in "1997 :Fuga da New York". Diceva anche: Ti sarà perdonata ogni azione criminale che hai commesso negli Stati Uniti. Se, in tempo zero, sparisci con le tue ciangrusaglie da questa casa, e questo lo dico io!
Devo andare a scuola, ne riparliamo quando torno!
Parliamo di cosa?
Ti farò una proposta.
Balle! Racconterai solo balle!
Ventiquattro ore, dammi solo ventiquattro ore! Non toccare niente, è tutto sotto controllo, se vuoi, puoi dormire mentre mi aspetti!
Fuggì dalla porta che avevo lasciato aperta, e io mi lasciai cadere sul pagliericcio appoggiato alla balaustra di marmo rosso. Non riuscivo a credere a quello che vedevo intorno, né a quello che avevo appena sentito; feci appena in tempo a capire che quel tipo che avevo strapazzato così brutalmente, ma con ragione, mi era piaciuto da subito. Poi il sottile suono della sveglia mi chiamò.