CONSIDERAZIONI SU DUE RACCONTI DI CALVINO E PRIMO LEVI
Sulle letture di lunedì 6 febbraio 2023
La letteratura per bambini è piena di fiabe e favole che hanno come protagonisti gli animali. Questi, soprattutto nelle favole rappresentano i pregi e i difetti degli umani: l’intelligenza, la stupidità, l’audacia, la codardia, la furbizia, l’avarizia, la generosità, la sapienza e la dabbenaggine. Le favole ci insegnano a non coltivare certi difetti, a imparare a giudicare le persone senza farsi abbindolare da imbonitori da strapazzo. Non per niente le favole hanno la morale che un po’ ci dà da pensare, anche se è quasi sempre stucchevole e buonista.
Nelle fiabe fate e streghe la fanno da padrone. Le streghe trasformano spesso gli umani in orrendi rospi bitorzoluti o in temibili mostri dal cuore tenero e qui il finale è scontato: l’amore della bella ragazza dissolverà l’incantesimo e da sotto le spaventose sembianze apparirà il meraviglioso principe sempre sognato.
Gli autori per ragazzi, gli scrittori classici, i cantanti, i musicisti, i registi cinematografici, i pittori, tutti i creativi hanno lavorato a piene mani sugli animali, presentandoli in modo positivo o negativo secondo l’ispirazione del momento e noi lettori o spettatori siamo pronti ad accettare come gradevolissimi anche i topi o i serpenti. Penso soprattutto ai cartoon di W. Disney e di altri maestri del cinema che hanno incantato generazioni di bambini e di adulti manipolando qualità e difetti umani per attribuirli agli animali.
Alcuni autori hanno utilizzato le loro capacità per porci di fronte a problemi creati dalle inquietanti metamorfosi subite da certi umani.
Altri scrittori hanno inventato società animali con problemi sociali e politici del tutto simili a quelli umani.
Italo Calvino con "Lo zio acquatico" potrebbe far parte della categoria di inventori di mondi paralleli. I personaggi sono molto simili agli umani, provano i nostri stessi desideri, manifestano i nostri stessi difetti e tic, provano le nostre sofferenze amorose anche se l’argomento è appena accennato. In tutto il racconto scorre una vena ironica esilarante: Calvino sta ridendo di noi!
Il racconto "Vilmy" di Primo Levi invece non vuole divertire, non è ironico, parla di sofferenza, di schiavitù, di vecchiaia e di morte che arrivano troppo presto.
La vilmy è un animale conturbante e subdolo, non è paragonabile agli animali da compagnia, affezionati, disinteressati, sempre pronti a leggere nei nostri occhi il permesso per lanciarsi in corse pazze o in giochi “pericolosi” per palloni e ciabatte. Il solo pensiero di accarezzare il manto vellutato della vilmy mi dà i brividi eppure accarezzo sempre morbidissimi gatti.
L’unico momento divertente del racconto è rappresentato dalla fuga precipitosa dello scrittore che non accetta di farsi raggirare dalle moine e dall’offerta del latte incantatore: la salvezza sta nel darsela a gambe.
Il discorso dell’incantamento può riferirsi sia al rischio di assumere droghe, di cui si diventa dipendenti, sia al pericolo di cadere nelle menzognere illusioni della televisione e ora anche del web.