AU 12 DE RUE CORTOT- MONTMARTRE

Gli amici dicono che possiedo lo studio più bello di tutta la Butte e forse non esagerano. Ma son passati gli anni in cui qui viveva “la trinité maudite” e la vita scorreva veloce.
Ora mio figlio Maurice si è sposato e abita lontano, quella strega di Lucie ha preso in mano tutti i suoi interessi e lo comanda a bacchetta dandogli un bicchiere di vino annacquato solo quando finisce un quadro.
Anche André Utter se n’è andato e io son rimasta qui da sola a girare intorno ai miei pennelli e alle mie cartelline piene di disegni.
Così la “trinità maledetta” ha cessato di creare scandalo, ma anche di radunare artisti e di suscitare idee.
Il mio amato Maurice passava ore a dipingere accanto a me, poi di colpo si alzava e partiva alla ricerca di vino rosso, il suo preferito: spesso lo pagava con una tela ancora umida.
André è stato a lungo il mio amante e poi siamo stati per tanti anni marito e moglie e fin qui non ci sarebbe da commentare, ma André ha ventuno anni meno di me e questo particolare ha fatto scorrere più parole tra i Montmartroises che acqua sotto i ponti della Senna. Eppure ci amavamo e molti ne erano gelosi. Io non ho mai avuto paura degli scandali, da bambina vivevo per la strada e mi chiamavano “il piccolo terrore Valadon” poi Degas mi chiamava “la terribile Marie o la feroce Marie”. Lui non usava il nome che mi aveva dato Toulouse-Lautrec, Suzanne, continuava a chiamarmi col mio nome di battesimo: Marie-Clementine, ma lui era un amico, guai a chi pensasse che sia stato il mio amante.
Degas è il primo che mi ha incoraggiata e guidata verso la pittura; io disegnavo fin da piccola, ma non sapevo se avrei potuto ottenere qualcosa di bello ed espressivo come vedevo fare da Renoir e dagli artisti che mettevano i loro cavalletti in Place du Tertre e nelle stradine della Butte. Quando fui presentata a Degas egli guardò a lungo i miei disegni e poi, chiudendo con un gesto brusco la cartella disse: “Sì, è vero. Siete veramente dei nostri.” Nessun riconoscimento mi fu più gradito!
Ho lavorato duro per ottenere dei successi, ho cercato di rubare il mestiere ai pittori che mi chiamavano a posare per loro e penso di esserci riuscita. Ho imparato tutto dai maestri impressionisti, ho capito come si danno le pennellate per far risaltare la luce sulla pelle, ho dipinto mio figlio, mia madre, semplici casalinghe e commercianti soddisfatte, popolane e signorine di buona famiglia: le mie modelle spesso mostrano uno sguardo intenso e allusivo, ho sempre cercato di mettere la loro anima nel ritratto. Sono stata scandalosa invece dipingendo Andrè Utter sempre nudo, ma era così bello che non avrei potuto dipingerlo in modo diverso.
Anch’io come modella mostravo una sfrontatezza provocatoria perché ero una donna libera sulla tela e nella vita.

Se Suzanne fosse vissuta in qualsiasi altro luogo che non fosse Montmartre la sua disposizione al disegno sarebbe andata dispersa. Fu la sua fortuna quella di crescere in un luogo e in un’epoca in cui ogni abilità artistica aveva un’importanza straordinaria. Montmartre era diventata il centro della vita artistica del mondo.
Per ragioni inspiegabili l’emigrazione verso la “Collina Sacra” era iniziata dopo il 1793 e raggiunse proporzioni gigantesche verso la metà dell’Ottocento. Prima da alcuni quartieri parigini, poi dall’Europa e infine dall’America, scultori, scrittori, pittori, attori, musicisti e studenti affluirono a sciami verso la collina, affollarono i caffè e gli appartamenti, le stalle e le soffitte, le ex fabbriche di ceramiche e le baracche per gli arnesi da giardino, trasformandoli in studi.
Con loro venne la vita notturna: cafés concertes, cabarets artistiques, sale da ballo. Questi luoghi sarebbero stati poi immortalati dalle litografie di Toulouse-Lautrec e di Pierre Bonnard: il Moulin Rouge, lo Chat Noir, il Divan Japonais. E quell’ultimo dei trenta mulini a vento, il Moulin de la Galette, che sarebbe stato il tema dominante di artisti come Corot, Vollon, Renoir, Van Gogh… In quegli anni la Valadon divenne un’artista. Suzanne era inconsapevole delle discussioni artistiche e filosofiche che si sostenevano intorno a lei, eppure si sentiva attratta dalle straordinarie personalità che la circondavano, sentiva di essere affine a loro, condivideva la loro inquietudine, le loro intense sensazioni.

A me piacevano i balli, i bistrot, le caffetterie poi ho scoperto gli studi dei pittori e questi artisti hanno visto in me la voglia di vivere che a loro serviva per dipingere le loro scene piene di luce e di armonia.

Suzanne usciva poco prima di mezzogiorno. Passava il pomeriggio nelle pose, fino al tramonto, quando la luce cambiava, poi partiva in visita agli amici e il tempo passava in conversazioni piacevoli, si godeva “l’ora verde” sorseggiando l’assenzio, liquore dal bel colore verde opalescente. La cena avveniva sempre in compagnia in qualche brasserie nei boulevard, la serata proseguiva in una sala da ballo o in un cabaret. Infine, alle tre o alle quattro, tornava a casa sola o in compagnia.
Le furono attribuite decine di storie con ogni genere di personaggi di Montmartre. Gli amori duravano due /tre giorni, non c’erano affanni di cuore o sentimentalismi, la sua vita amorosa era dominata dalla sensualità e dall’allegria: gli uomini li amava in massa.
Il nome Suzanne le venne attribuito da Toulouse-Lautrec perché lei, sedicenne, era stata l’amante dell’affascinante pittore Puvis de Chavanne che aveva quarant’anni più di lei e subito dopo era passata a Renoir che ne aveva venticinque più di lei: era facile pensare a Susanna insidiata dai vecchioni. Alla Valadon il nome piacque tanto da assumerlo per sempre, anche se non aveva vissuto come insidie l’interessamento mostratole dai due grandi artisti.

Ero giovane e facevo un po’ confusione tra i pittori per cui posavo, non stavo a distinguere tra amore e simpatia, insomma, ad un certo punto mi sono trovata incinta senza sapere di chi. Il bambino però era mio e non l’ho dato a nessuno, salvo affidarlo a mia madre che l’ha allevato.
Maurice non era un bambino facile, se qualcosa lo contrariava cominciava a urlare e a distruggere tutto e mia madre lo calmava con un bicchiere di vino, in fondo anche per lei l’alcol era il rimedio a tutti i mali. Il tormento con Maurice è durato anni. Io non volevo riconoscere che fosse un alcoolizzato a tredici anni, ma ho dovuto accettare la realtà. Mio figlio fu ricoverato in decine di cliniche, quando ne usciva per breve tempo sembrava placato, ma gli effetti positivi duravano poco.
Un dottore mi suggerì di insegnargli a dipingere: come se fosse spinto da una forza interiore Maurice cominciò a produrre paesaggi, interni di paesi, muri. Copiava dal vero o dalle cartoline o dalla sua mente; produceva quadri a ritmo frenetico. Quando aveva sete dava un suo quadro per poter bere, poi cadeva in un fosso e io andavo a raccoglierlo a qualsiasi ora del giorno o della notte, oppure finiva in prigione e anche lì andavo a riprendermelo.
Tutto questo travaglio non mi impediva di dipingere e di amare.
Ho posseduto una grande casa fuori Parigi e un castello vicino a Lione, però son tornata sempre a vivere qui, a due passi dai luoghi che mi hanno vista povera, poi ricca e ancora povera e ora anche vecchia e sola.

A Montmagny Suzanne sviluppa la semplice tavolozza che doveva servirle per tanto tempo e che doveva essere sviluppata con successo da suo figlio: due gialli cromo, vermiglio, scarlatto e bianco di zinco. Suzanne la chiamava con orgoglio “la tavolozza Valadon”.
Dopo il 1909 inizia ad esporre in mostre personali o con il figlio o addirittura con Maurice e con Utter, ma è facile immaginare che queste mostre collettive attirino l’attenzione soprattutto di quelli che vogliono vedere la “trinité maudite” all’opera.
Suzanne comunque riceve dei riconoscimenti lusinghieri dai critici: “sotto il suo pennello ogni cosa si anima, vive e respira. Questa donna straordinaria è la passione stessa e invano si cerca qualcuno con cui confrontarla.”
Nel 1920 viene eletta socia della “Société des Artistes Indépendants”. Seguono tre giorni di feste ininterrotte a base di champagne e cibi prelibati.

Osservo dalla grande finestra dello studio il giardino in cui pende vuota l’altalena sulla quale mi ha ritratta Renoir e ripenso a quanti quadri sono nati nelle menti dei miei amici artisti proprio in questo giardino, tra chiacchiere e vino.
Ora tutto mi mette malinconia: le tele accatastate lungo i muri dello studio, la mia tavolozza fatta di pochi colori brillanti, i tubetti strizzati per estrarre fino all’ultima goccia di colore, i pennelli puliti, la stufa a legna che spesso si incaponisce a riempire la stanza di fumo, il soppalco su cui dormivo con Andrè: questo studio è stata tutta la mia vita e in esso ho messo tutta l’energia creatrice che mi derivava dall’amore.

Trova felicità solo quando può lavorare con il figlio. I banchetti, le feste improvvisate, i pettegolezzi dei caffè sono un antidoto alla malattia perniciosa che la minaccia: la vecchiaia.
Quando entra in crisi con Utter, Suzanne guarda in faccia il declino della sua bellezza e dipinge uno straordinario autoritratto: il volto piatto, le labbra sensuali ridotte ad una assurda bocca a bocciolo di rosa dietro cui è evidente una dentiera mal fatta, i seni cascanti di una donna selvaggia e dissoluta. È là, nuda, vecchia, patetica.

Ho narrato la mia vita nei caffè in così tanti modi diversi da non ricordare più la verità. Ma alcune certezze le ho: i quadri di Renoir, di Puvis, di Toulouse-Lautrec che mi rappresentano sono esposti nei musei di Parigi e non solo, e i quadri miei e di mio figlio Maurice Utrillo coprono intere pareti delle gallerie d’arte e vengono venduti a migliaia di franchi. L’ultimo nome che mi è stato attribuito ha un valore enorme, per le strade di Montmartre sono conosciuta come “Madame Valadon, l’artista”. Queste sono soddisfazioni!
Ora dipingo fiori.
Il gusto per lo scandalo, però, non mi ha lasciata: mi sono presa in casa un pittorucolo che ha bisogno di assistenza, così mi sembra ancora di occuparmi di Maurice. La gente ha subito pensato che la focosa Suzanne Valadon avesse trovato un altro giovane amante a settant’anni! Sciocchezze, lui vorrebbe convincermi a credere alla Vergine Maria e alle rivelazioni mistiche che ha avuto fin da piccolo. Gli ho promesso la mia anima quando morrò e lui potrà prendersene cura. Per ora preferisco dipingere o ascoltare i pettegolezzi degli amici, che mi parlano di sconosciuti come De Chirico, Chagall, Mirò, Dalì…e di questo Surrealismo che io non capisco. Anche la vita artistica ha spostato il suo centro da Montmartre a Montparnasse e mi chiedo come faranno gli artisti a creare le loro opere senza respirare l’aria della Nouvelle-Athènes, dello Chat Noire e del Lapin Agile.

I brani in corsivo sono liberamente tratti da:
John Storm - Nel cuore di Montmartre - Vita di Suzanne Valadon, madre di Maurice Utrillo- Mondadori, ed. 1961 (tit. originale The Valadon Drama)
AA.VV. - Gli Impressionisti e la nascita della pittura moderna - Mondadori 1999
Marc Restellini - Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti - 24ore cultura 2013

Autore: Olga Pons
Data: 05 mag 2018