Categoria: Materiali
Data: 29/11/2022

ELIO VITTORINI - CONVERSAZIONE IN SICILIA - PRIMA PARTE

“Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori”.



Così inizia il primo romanzo importante di Vittorini (forse il più importante), scritto a trent’anni e pubblicato per la prima volta a puntate su una rivista fiorentina.

Più avanti lo scrittore riprende la stessa frase:



“Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo voglia di nulla.”



L’apparente contraddizione ci fa capire la complessità di questa condizione psicologica, le cui cause sono solo accennate. “Credere il genere umano perduto e non aver febbre di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con lui.”



Siamo nel 1938-’39, in pieno regime fascista, a un passo dalla guerra mondiale.

Lo scrittore è giovane, ma ha già avuto una vita intensa. Figlio di un ferroviere, da adolescente è scappato più volte da casa, interrompendo gli studi tecnici a cui la famiglia lo aveva avviato.

È stato in alcune città del nord, ha fatto vari mestieri, entrando nel mondo giornalistico e letterario grazie all’amico Curzio Malaparte. Si è sposato (con la sorella di S. Quasimodo) e ha avuto un figlio. Ha già pubblicato racconti e, dopo aver studiato l’inglese come autodidatta, ha incominciato a dedicarsi alle traduzioni.

Per un certo periodo ha aderito al fascismo di sinistra, antiborghese. Nel ’36, durante la guerra di Spagna, si è schierato apertamente contro Franco, ed è stato espulso dal partito fascista.

Ora sente di essere senza speranza, senza prospettive, senza volontà di agire, e trasferisce questo stato d’animo nel personaggio di Silvestro, che gli assomiglia molto, benché Vittorini abbia sempre sostenuto che non è autobiografico. Come lui è siciliano, figlio di ferroviere, emigrato al nord per fare il tipografo e per scrivere.

Per capire bene questa situazione psicologica, dobbiamo ricordare che, per uno scrittore, opporsi al fascismo, oltre a comportare un rischio personale, significava non poter più pubblicare con le case editrici importanti e farsi conoscere nel panorama letterario italiano e internazionale.



Per esprimere il suo malessere, Vittorini si serve di Silvestro e gli attribuisce, fin dalla pagina introduttiva, alcune caratteristiche, usando espressioni più volte ripetute.



“ero col capo chino”

“e non dicevo una parola”

“pioveva… e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che mi entrava nelle scarpe”



Anche se non c’è descrizione fisica, queste parole generano un’immagine forte di scoraggiamento e desolazione. Basta poi l’accenno agli amici, alla moglie-ragazza, per far capire che si tratta di un giovane. L’allusione ai “massacri sui manifesti dei giornali” fa intuire che cosa ci sia dietro alla sua pena, ma, ci avverte Vittorini, “non di questo mi son messo a raccontare”.



Fin dalle prime righe, si delinea il carattere allusivo del romanzo, che si serve di un linguaggio quasi poetico, condensando nelle immagini significati profondi, non espliciti. La ripetizione di certe parole, che troviamo in tutto il romanzo, ha a che fare con lo stile poetico (si è parlato di poesia in prosa), scelto da Vittorini per esprimere qualcosa che altrimenti non avrebbe potuto dire.



Facciamo un esercizio, ispirandoci a questo stile. Proviamo a creare un’altra immagine, la nostra.



Quale caratteristica esteriore, quale postura, per noi, rappresentano l’astratto furore e l’apatia?

Chi vediamo in questo atteggiamento? Un uomo? Una donna? Un ragazzo? Dove? Perché?

Quali parole, in modo sintetico, possono descrivere l’immagine? È già l’inizio di una storia…



La lettera del padre, il suono del piffero, i topi



Riconobbi lui e ch’ero stato bambino, e pensai Sicilia, montagne in essa.”

“… un piffero suonava in me e smuoveva in me topi e topi che non erano precisamente ricordi.”

“…mi venne una scura nostalgia come di riavere in me la mia infanzia.”



La memoria suscitata dalla lettera – il padre che recita il Macbeth per i colleghi ferrovieri – ha un solo un effetto su Silvestro, il desiderio di ritrovare l’infanzia. Per il resto non cambia niente, egli resta “quieto nella non speranza”.

La sua nostalgia è scura perché non ha alcun potere di trasformazione sul suo animo.

E all’improvviso, quasi per caso, decide di prendere un treno per la Sicilia.



“Suonava acuto in me il piffero e mi era lo stesso partire o non partire…”



Il viaggio



Il tema del viaggio in treno ricorre in varie opere di Vittorini, abituato fin da piccolo ad abitare vicino alla ferrovia, a sentire il rumore dei convogli, a osservarne il passaggio. Più avanti, in treno si erano compiute le sue fughe dalla Sicilia verso il nord.



Poi viaggiai nel treno per le Calabrie, ricominciò a piovere, a esser notte e riconobbi il viaggio, me bambino nelle mie dieci fughe da casa e dalla Sicilia, in viaggio avanti e indietro per quel paese di fumo e di gallerie, e fischi inenarrabili di treno fermo, nella notte, in bocca a un monte, dinanzi al mare, a nomi da sogni antichi, Amantèa, Maratèa, Gioia Tauro. Così un topo, a un tratto, non era più un topo in me, era odore, sapore, cielo e il piffero suonava un attimo melodioso, non più lamentoso.”



Qui la poesia trova tutta la sua forza evocatrice. Il viaggio – e l’intero romanzo – può essere visto come un sogno, una poetica allucinazione, che riportandoci indietro, verso l’infanzia del protagonista, muove dal reale al surreale, al misterioso.

Ma c’è anche un’altra chiave di lettura: il viaggio può assumere un significato allegorico.

Tornare in Sicilia, al mondo dell’infanzia, significa allora tornare alle origini del genere umano, a una sorta di purezza, in cui affrontare con lucidità nuova il tema dell’oppressione e della giustizia.

In questa prospettiva, i personaggi del romanzo, a incominciare da quelli incontrati sul treno, acquistano un valore simbolico, morale e politico, e le situazioni descritte vanno oltre il loro significato più immediato.

Il personaggio detto Gran Lombardo, con il suo richiamo ad “altri doveri” non privati ed egoistici, rappresenta l’antifascismo e lo spirito rivoluzionario.

A lui si contrappongono Coi Baffi e Senza Baffi, due poliziotti in borghese, finti impiegati del Catasto, che rappresentano gli italiani allineati col regime, anzi, i difensori del regime.

Il piccolo siciliano con la moglie bambina, che può mangiare solo arance, raffigura gli oppressi, gli ultimi, quelli che – si dirà più avanti – fanno parte del “mondo offeso”.

Ci sono ancora un vecchio, un malato e un catanese: diverse componenti di quel mondo.

Attraverso queste figure, probabilmente Vittorini allude alla società del suo tempo, sotto la dittatura. Non possiamo che ammirare il modo sintetico ed efficace con cui le tratteggia.



Esercizi:



  • Una frase (o poco più) che connoti un viaggio, le sensazioni ad esso legate.

  • Il breve ritratto di una persona incontrata in viaggio.