CONVERSAZIONE IN SICILIA - II PARTE
“Ma guarda” pensai “sono da mia madre!”
…E mi parve che essere là non mi fosse indifferente, e fui contento d’esserci venuto.
Stupore. Prima breccia nella quiete senza speranza.
Gli pare di avere appena incominciato il viaggio. Si tratta di un “viaggio nella quarta dimensione.”
“La signora apparve, alta, con la testa chiara, e io riconobbi perfettamente mia madre, una donna alta coi capelli castani quasi biondi, e il mento duro, il naso duro, gli occhi neri.”
L’aspetto sacrale della madre – compresa la coperta rossa che la copre come un manto – contrasta con la semplicità del riconoscimento, dei saluti.
Entrambi, fin da subito, ridono; la donna non ha recriminazioni né lamentele nei confronti del figlio ricomparso dopo quindici anni. Al contrario, dimostra una notevole autoironia.
“Come hai fatto a riconoscermi?” dissi io.
Mia madre rideva. “Me lo domando anch’io” disse.
All’interno della casa, tutto emana luce e calore: il sole batteva su ogni cosa… il braciere di rame, l’aringa vi arrostiva sopra… l’odore non mi era indifferente, mi piaceva, lo riconoscevo odore dei pasti della mia infanzia.
I ricordi si inanellano, sulla scia di quell’odore familiare: dal cibo al treno che lo riportava a casa da scuola, insieme ai fratelli, alle case cantoniere dove la famiglia abitava… alla punizione per essere saltati giù dal treno quando rallentava, in modo da risparmiare strada.
p. 35 “Si rialzò con l’aringa in mano… Era questo, mia madre; il ricordo di quella che era stata vent’anni prima, giovane e terribile, col legno in mano; il ricordo, e l’età in tutta la lontananza, l’in più d’ora, insomma due volte reale. …forse era per questo che non mi era indifferente sentirmi là, viaggiare… anche il viaggio da Messina in giù…”
Grazie alla presenza così viva della madre, tutto acquista significato, e Silvestro ritrova la concretezza dell’infanzia, delle origini.
Mangiando, i due continuano a scambiarsi ricordi: le case cantoniere circondate dalla campagna (“tutta quella campagna per correre, senza coltivarla”) dove si stava bene, nonostante la malaria (“Avevamo le reti metalliche!”)
Affiora un ricordo amaro: “Tuo padre prendeva il denaro ogni fine mese, e allora per dieci giorni si stava bene… ma dopo… si mangiavano chiocciole.”
Ciò fa intuire altre miserie, tuttavia è accolto con il sorriso: “…erano buone, dopotutto”.
Si fa poi il confronto con le abitudini alimentari del nord: lesso tutti i giorni, cioè brodo di osso.
La madre sostiene le virtù dell’aringa, che fa bene al cervello e forse per questo il nonno era un grand’uomo. In modo naturale, si passa a un nuovo grado della conversazione, più profondo.
Dal cibo alle persone, agli uomini che per la madre sono stati importanti. Il nonno, il padre.
Sono immagini forti, indelebili… La cavalcata di San Giuseppe. I genitori che si picchiano, “lui snello come un ragazzo, con gli occhi azzurri, e lei pesante, forte, con gli scarponi”.
“…sempre lei aveva avuto l’abitudine di portarli in casa, onde stare più comoda, o sentirsi in qualche modo piantata nell’uomo, e un po’ uomo, costola d’uomo”.
Contrasto con le scarpe rotte piene d’acqua che Silvestro, all’inizio, attribuisce a sé stesso.
La madre non è, non vuol essere vittima. Definisce il marito vigliacco: “quando partorivo piangeva”. “Non voleva vedere… vedevate più voi di lui”.
A Silvestro viene spontaneo difenderlo, dire che non era vigliacco, ma forse aveva qualcosa di più (più sensibilità?). Lei si ribella: “Che vuoi che avesse in più? Non era un uomo come mio padre”.
A questo punto rivela che non è stato il marito ad abbandonarla, ma lei, stanca dei tradimenti, ha finito di mandarlo via. “Non potevo sopportare di vederlo innamorato alla sua età… Aveva sempre bisogno di altre donne per la casa e fare il galletto in mezzo alle donne… Sai che scriveva poesie. Le scriveva a loro… Le chiamava regine e anche api-regine… Era un gran pazzo: non poteva stare senza baccano… Vi erano periodi che si aveva riunione ogni sera… o ballo, o gioco di carte, o recita… E lui in mezzo alla festa con gli occhi lucenti…” Potei ricordare… (p. 49)
(Il melone… nuovo ricordo della mamma che, secondo i figli, conservava i meloni dentro di sé.)
Poi la donna incomincia confondersi tra la figura del padre e quella del marito, grandi uomini, ciascuno a suo modo, e a Silvestro viene da paragonarli al Gran Lombardo, per una qualità difficile da definire che li pone al di sopra degli altri.
“Come tu ne parli sembra che doveva esserlo. Sembra che dovesse pensare ad altri doveri… Era soddisfatto di sé e del mondo, il nonno?”… “No, del mondo non lo era.”
La madre lava i piatti, il figlio li risciacqua e li asciuga. Lei canta e fischietta, e il figlio le guarda le mani, così diverse dalla faccia di odalisca.
“Queste nostre donne… senza dolcezza per la notte sulle mani, e forse, alle volte, infelici di questo… non poter tenere i loro uomini legati a loro con le mani.”
“Pensai mio padre e me, tutti gli uomini, col nostro bisogno di mani morbide su di noi… pronti a disertare da loro, le donne nostre con le mani rudi e spicce, quasi maschili, dure nella notte…”
Il discorso scivola gradualmente sui rapporti tra uomo e donna, sul sesso.
La madre chiarisce che a ferirla, più ancora dei tradimenti, era che suo marito dedicasse poesie alle altre donne e fosse con loro un uomo gentile. Se si fosse limitato a portarle nel vallone, come il nonno, avrebbe potuto sopportarlo, ma “le trattava sempre da regine, non da sporche vacche… Io non potevo guardarle dall’alto in basso… Lui dava loro a intendere di esser molto più di me…”
…e io pensavo: buffa d’una donna! E dentro di me quasi ridevo. Sapevo come noi uomini si era, vigliacchi forse, ma giusti dopotutto nell’entusiasmo nostro con loro…
Incomincia a vedere la madre come donna, e a immaginare che anche lei possa aver suscitato simili entusiasmi in uomini diversi. “Troppo aveva vecchio miele in sé” per essere stata solo moglie e madre. Il passaggio è possibile perché Silvestro è adulto e non c’è stata continuità nel rapporto con sua madre. “E, dentro di me ridendo, decisi di arrischiare il colpo…” (p.60)
Consapevolmente, Silvestro si mette ad “agitare la madre nel suo vecchio miele, ma lei non arrossisce”. Risponde tranquilla, riprendendo a spazzare: “…suppongo che se lo è meritato se sono stata con altri uomini una volta o due!”
La confidenza è possibile perché, dice Silvestro, la donna “era più che mia madre… ed io ero a lei estraneo, un uomo qualunque per metà di me… e l’ascoltavo da un altro punto della terra”.
La madre non racconta, risponde alle domande del figlio, ricordando un pomeriggio d’estate, il cado, la solitudine della campagna.
L’uomo era un viandante assetato e affamato… anche di altro che non chiedeva… e lei “avrebbe voluto vederlo placato anche nella sua fame e sete di altro.”
L’uomo tornò per vari pomeriggi, facendo molti chilometri a piedi.Secondo lei, quel viandante era un Gran Lombardo e pensava ad altri doveri. Infatti, dopo la repressione seguita agli scioperi nelle solfare e nelle campagne, non ricomparve: probabilmente fu ucciso dalle guardie regie.
Il figlio la guarda con nuova tenerezza, pensando: Benedetta vacca!