Categoria: Materiali
Data: 14/02/2023

CALVINO, LEVI E IL MONDO ANIMALE

Ormai i pesci giovani non li teneva più nessuno, sbattevano le pinne sulle rive di fango per vedere se funzionavano da zampe, com’era riuscito ai più dotati. (Da “Lo zio acquatico”)
Calvino racconta l’evoluzione della specie come una fiaba parodistica, anzi, come un film di animazione, in cui gli animali in via di trasformazione assumono comportamenti e stati d’animo tipici dell’uomo.

Nel breve spazio di un racconto, con meravigliosa leggerezza, Calvino suggerisce tematiche complesse, legate all’individuo e alla società che sta cambiando:



Attrazione per il nuovo e il diverso

Attaccamento ai modelli tradizionali

Imitazione ed emulazione

Identità e conformismo



Inoltre, mette in scena dinamiche familiari, sociali, di coppia… comportamenti maschili e femminili… meccanismi seduttivi…



Si potrebbe fare un confronto con l’umanizzazione degli animali propria dei film disneyani, con una vena satirica che prelude a produzioni future.

Le scene e i dialoghi sprizzano ironia e comicità, rappresentando la contraddizione per cui alcuni vecchi conservatori come lo zio pesce, criticati dalle nuove leve, esercitano tuttavia una certa autorità e attrattiva, proprio per il fatto di essere “residui del passato”.



finivamo per chiedergli consiglio su fatti di cui non capiva niente, benché sapessimo che poteva avere torto marcio.



Leggendo queste righe, è inevitabile pensare a “grandi vecchi” e “baroni” che persistono in posizioni di comando, soprattutto in certi campi della nostra società.



Questo racconto può richiamare, per tematiche e stile, il piccolo capolavoro di Roy Lewis, Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, pubblicato in Inghilterra nel 1960.
Lo zio acquatico è del ’64.

Lewis, però, si spinge oltre: portando lo sguardo sull’evoluzione umana, considera le conseguenze, non sempre positive, del progresso.

Lo zio Vania (che assomiglia un po’ allo zio pesce) può sembrare un troglodita, ma si dimostra saggio e addirittura profetico nel porre il problema del rapporto tra uomo e natura. Sia Calvino che Lewis, si può notare, non si limitano allo scherzo letterario: in una forma leggera e giocosa, alludono a realtà complesse, che riguardano la natura umana, il nostro presente e forse il nostro futuro.



Primo Levi, in alcuni racconti, ha dato vita ha uno zoo fantastico, che affascina e nello stesso tempo inquieta.
…E lei, loro, sono diabolici: sono corrotti, e buoni a corrompere. Capiscono poche cose, ma queste le capiscono bene, come si seduce un essere umano. (Da “Vilmy”)

Nella prefazione ai Racconti, Belpoliti scrive: 
…tra i suoi “scherzi” e le pagine dedicate al Lager vi era una stretta parentela. Levi stesso lo sapeva.

Ai primi intervistatori dice subito: “No, non sono racconti di fantascienza… Queste storie sono più possibili di tante altre.”

…Levi ci racconta l’orrore del possibile, quel possibile che aveva sperimentato nell’universo rovesciato di Auschwitz…

Levi usa ogni tipologia narrativa perché non vuole fingere, ma raccontare la realtà così come l’ha sperimentata, e come potrebbe sempre accadere a ciascuno di noi.



Vilmy è una creatura pericolosa e crudele, sotto un’apparenza mite e seduttiva.

Ciò che più inquieta è che presenti analogie con l’essere umano (quelle espressioni mutevoli, in grado di comunicare ogni suo stato d’animo).

È una creatura corrotta – Levi stesso lo afferma – e ricorda, per certi aspetti, il giovane Henri, uno dei “salvati” descritti in “Se questo è un uomo”.



…Henri valuta con un’occhiata il soggetto, “son type”, gli parla brevemente, a ciascuno con il linguaggio appropriato, e il “type” è conquistato… Non c’è anima così indurita su cui Henri non riesca a far breccia…

Parlare con Henri è utile e gradevole; accade anche, qualche volta, di sentirlo calco e vicino, pare possibile una comunicazione, forse perfino un affetto; sembra di percepire il fondo umano, dolente e consapevole della sua non comune personalità. Ma il momento appresso il suo sorriso triste si raggela in una smorfia fredda che pare studiata allo specchio. Henri domanda cortesemente scusa (“j’ai quelque chose à faire”, “…j’ai quelqu’un à voir”), ed eccolo di nuovo tutto alla sua caccia e alla sua lotta: duro e lontano, chiuso nella sua corazza, nemico di tutti, inumanamente scaltro e incomprensibile come il Serpente della Genesi.



Il disagio che si prova in questi incontri è paragonabile a quello che suscita la vilmy, con le sue mosse feline, i suoi strofinamenti e le sue smorfie, volte ad accendere un desiderio destinato a restare perennemente insoddisfatto.

L’uomo che assaggia il suo latte ne è come stregato, non è più un uomo libero.

Con Henri, Levi sente di non essere un uomo di fronte a lui, ma uno strumento nelle sue mani.