Categoria: Materiali
Data: 10/01/2023

CALVINO E I TAROCCHI

La lettura dei Tarocchi è un testo narrativo, basato sulle diverse figure e sulle relazioni fra loro. Ogni singola carta, infatti, ha un significato codificato, ma la sua interpretazione dipende soprattutto dalla posizione che occupa vicino alle altre. Quando una carta esce più volte, è raro che mantenga la stessa posizione, perciò la possibilità di combinazione dei tarocchi è molto vasta.

Calvino era affascinato dalle figure e dalle potenzialità narrative delle carte, che permettono di costruire sempre racconti nuovi e diversi.

A un certo punto della sua carriera di scrittore, convinto che l'universo linguistico avesse ormai soppiantato la realtà, Calvino immaginò la narrazione come un meccanismo che giocava artificialmente con le possibili combinazioni delle parole.

Scrisse Il Castello dei destini incrociati (1969), al quale in seguito si aggiunse La Taverna dei destini incrociati (1973), in cui il percorso narrativo era affidato alla combinazione delle carte di un mazzo di tarocchi, adoperati, raccontò nella presentazione del suo libro, come una macchina narrativa combinatoria.

Con “combinatoria” si intende, dal punto di vista matematico, un insieme di modi per ordinare e/o raggruppare gli elementi di un insieme finito (secondo determinate regole). La scrittura combinatoria (o narrativa combinatoria o, ancora, letteratura combinatoria) vuole identificare l’atto di scrivere coadiuvato da processi derivati dalla matematica combinatoria.

Tutto ciò aveva avuto inizio in Francia, dal movimento denominato OuLiPo, e in Italia ebbe seguito grazie a Calvino, Umberto Eco e altri.

Anche Primo Levi era interessato ai giochi combinatori in letteratura. Secondo Ernesto Ferrero,



“Levi si sarebbe trovato benissimo tra i maghi-bambini dell'Oulipo, quel laboratorio di letteratura potenziale attivo a Parigi soprattutto negli anni '60 e '70, che annoverava tra i suoi soci più attivi, oltre allo stesso Queneau, Calvino e Perec. Non si limitavano, gli oulipiens, a studiare tutte le possibili combinazioni che si offrono alla letteratura: convinti che la più grande libertà nasce dal più grande rigore, si davano programmaticamente gabbie ristrette, che chiamavano contraintes, costrizioni, strettoie, per mettere alla prova il loro ingegno di costruttori (sappiamo che Perec riuscì a scrivere un intero romanzo senza usare la lettera e). 

Ma la letteratura è proprio questo, cercare di far passare il mare in un imbuto, come diceva Calvino.

E Primo Levi altro non ha fatto, sin da quando ha forzato la gabbia mortale del Lager opponendogli anzitutto il paziente esercizio di una ragione che cercava di capire, di stabilire un reticolo di cause ed effetti, di far passare una tragedia senza nome nello stretto imbuto di una esperienza raccontabile. Non diversamente lottò durante la sua vita di chimico contro l'inerzia riottosa della materia. E infine, nei racconti, e poi nei romanzi, diede alla sua immaginazione i vincoli di ristrette ipotesi di lavoro, perché sapeva che solo lavorando sul margine più risicato si può allargare il varco, e farvi passare una migliore comprensione di quello che siamo stati e siamo, dei nostri sogni tormentosi, delle nostre eredità troppo spesso dimenticate, e dell'incerto ma non disperante futuro che ci attende.” (Ernesto Ferrero, introduzione ai “Racconti”)



Ma torniamo a Calvino e al suo libro ispirato ai tarocchi.

Un gruppo di viandanti si incontra in un castello: ognuno ha un'avventura da raccontare ma non può farlo perché ha perduto la parola. Per comunicare allora i viandanti usano le carte dei tarocchi, ricostruendo grazie a esse le proprie vicissitudini.

Il mazzo dei tarocchi è visto da Calvino come un sistema di segni, come un vero e proprio linguaggio: ogni figura impressa sulla carta ha un senso polivalente così come lo ha una parola, il cui esatto significato dipende dal contesto in cui viene pronunciata. Il suo intento è smascherare i meccanismi che stanno alla base di tutte le narrazioni, creando un romanzo che va oltre sé stesso, in quanto riflessione sulla propria natura e configurazione.

Il progetto ha un senso solo se le storie investono la totalità dei segni a disposizione, rientrando in uno schema, in cui gli intrecci si incrociano fra loro a mo’ di cruciverba, e si possono individuare due storie diverse a seconda della direzione di lettura. 

Questo gli riesce perfettamente con le delicate miniature dei tarocchi viscontei, che danno origine, appunto, al Castello dei destini incrociati, ispirato in parte a episodi dell’Orlando Furioso. Per questo insieme di racconti, Calvino crea una cornice ambientata in un contesto medievale: «In mezzo a un fitto bosco, un castello dava rifugio a quanti la notte aveva sorpreso in viaggio». 

Successivamente egli scrive La taverna dei destini incrociati, che utilizza i tarocchi marsigliesi (popolari) in luogo di quelli viscontei, abbassando di conseguenza anche lo stile della narrazione.  In questo caso egli non riesce, nonostante reiterati tentativi, a soddisfare la regola, e decide infine di pubblicare la raccolta in forma imperfetta, quasi per liberarsi da un’ossessione.